Il movimento GenZ che ha infiammato le strade del Kenya non ha espresso finora un vero leader capace di guidare la moltitudine di giovani che contestano le scelte del presidente Ruto e chiedono una svolta politica nei palazzi del potere. Ciò rende la protesta più corale e al contempo più fragile
di Andrea Spinelli Barrile
Verso la fine di maggio sono cominciati a circolare su X alcune bozze della nuova legge finanziaria del Kenya, in cui si introducevano nuove, gravose, tasse su numerosi beni di prima necessità. Pane, pannolini, cancelleria e tasse universitarie ma anche transazioni online (tra i metodi di pagamento più diffusi in Kenya), carburanti ed energia elettrica. Per molti keniani, l’effetto è stato quello che suscita uno shock: “Ho detto ‘non è possibile’” riferisce alla Rivista Africa Calvin, il nome è di fantasia, 29 anni di Nairobi, “pensavo fosse una fake news. Con tutti gli aumenti degli ultimi anni, l’inflazione, non era possibile”. Mise via lo smartphone. Quella sera stessa, su TikTok, il suo feed ha cominciato a riempirsi di video, con protagonisti anche più giovani di lui, prima di utenti arrabbiati, poi di analisi – anche improvvisate – di queste nuove tasse, di lamentele sulla fatica che i genitori di questi utenti fanno per arrivare alla fine del mese, sottolineando sempre lo scarto con lo stile di vita spesso sontuoso di molti rappresentanti politici. L’hashtag più usato era, ed è rimasto, #RejectFinanceBill2024. Meno di due settimane dopo, Calvin era sulla Kenyatta avenue insieme a migliaia di altre persone, la maggior parte anche di dieci anni più giovani di lui, a inalare gas lacrimogeni e ingoiare chili di polvere.
“Seguo Boniface Mwangi, sa essere convincente e il suo messaggio è molto chiaro” mi spiega Calvin. Nato nel 1983, Mwangi è un fotoreporter e attivista, noto per gli scatti delle violenze post-elettorali avvenute in Kenya nel 2007 e nel 2008, per le quali l’attuale presidente William Ruto fu imputato alla Corte Penale Internazionale (accuse poi abbandonate nel 2016), tra i 100 africani più influenti nel 2020 per New African. Dopo il giornalismo, Mwangi ha iniziato ad occuparsi di diritti umani e lotta all’impunità e, dal 2013, denuncia la corruzione nella politica e incita i giovani all’interesse e all’attivismo politico. “Ma lui non è il leader della protesta” mi spiega Calvin e io faccio fatica a capire.
Ci sarà pure qualcuno, forse un gruppo di persone?, che decide che quel giorno a quell’ora si va a manifestare? Che dirige, tiene i contatti, la strategia? Ma c’è, una strategia? “Secondo me è come con le formiche” dice Calvin: “Siamo tanti e, quindi, dove serve ci siamo sempre. Siamo noi”. TikTok è lo strumento con il quale si arriva al contesto, alla protesta: dove si fa, a che ora. “Poi mi scrivo con gli amici, ma bene o male è quello che fanno tutti. A Kenyatta avenue si è sempre in migliaia, ma alla fine trovi sempre chi stai cercando”.
E poi migliaia di video, dirette, quello che sta succedendo. Un altro attivista con un certo seguito sui social è più un politico che un attivista: si chiama Francis Gaitho, si occupa di management sportivo e si è anche candidato al Parlamento del Kenya, ha un blog piuttosto seguito ed è a processo per alcuni tweet in cui avrebbe diffuso false informazioni. Noto alla piazza, forse meno alla polizia: il 17 luglio 2024 alcuni agenti hanno arrestato al suo posto il giornalista Macharia Gaitho, in caso di omonimia durato poche ore, anch’egli fortemente critico nei suoi editoriali verso la politica e, in particolare, la legge finanziaria che avrebbe aumentato le tasse.
Macharia Gaitho è solo una delle 59 persone rapite allo stesso modo nella repressione dell’ondata di proteste, secondo la Kenya National Commission on Human Rights (KNCHR). Almeno 50 sono stati, invece, i morti. “Non c’è niente di cui avere paura: le persone hanno speranza perché queste proteste non sono come quelle del passato” dice Calvin, alludendo proprio all’assenza di una leadership: “Come i fratelli e sorelle in Sudan, hai presente? Hanno cacciato Bashir, noi cacciamo Zaccheo”. I risultati, fino ad oggi, sono di portata storica: si è dimesso il capo della Polizia, la legge finanziaria è stata cancellata dal presidente Ruto, che ha poi bloccato gli aumenti salariali di parlamentari e amministrativi, fatto una storica diretta live su X, una sorta di “uno contro tutti” per mostrarsi dialogante con i manifestanti, licenziato l’intero gabinetto dei ministri e si è impegnato in una sostanziale spending review.
Il prezzo pagato è stato però enorme e la piazza, dice Calvin usando anche la parola “martiri”, non dimentica. Forse anche, penso io, perché la crisi è più profonda. Ora l’oramai famosa GenZ ha davanti la sfida più improba: le elezioni del 2027 sembrano lontane ma non lo sono e, in mezzo, ci sono anni sicuramente difficili. Un movimento di protesta senza leadership ha sicuramente dei grandi vantaggi ma, al contempo, anche delle importanti fragilità.
Il principale vantaggio che certamente ha il movimento di protesta keniano sull’apparato repressivo è quello di non avere figure chiave di riferimento, dei leader riconosciuti che se arrestati fanno da monito a tutti gli altri. Ma questo potrebbe diventare anche il problema: senza una leadership con cui le autorità possono sedersi a parlare, come arriva la voce della piazza a Ruto. E, soprattutto, quanto è alto il rischio che l’intero movimento possa essere infiltrato da forze esterne?