Kenya, le manifestazioni della GenZ stanno cambiando la politica

di claudia

di Andrea Spinelli Barrile

La tensione non scende a Nairobi, capitale del Kenya, teatro di durissimi scontri tra manifestanti e polizia negli ultimi giorni. Nella notte tra giovedì e venerdì ci sono stati incendi in diverse aree della città e anche ieri mattina nel Centro finanziario della città il clima era molto teso, in un’atmosfera quasi irreale.

Giovedì almeno una persona è rimasta uccisa: la vittima, Rex Kaniyke, è stata colpita da un proiettile sparato presumibilmente dalla polizia e questa mattina sua madre, Jilian Munyau, è stata intervistata da Citizen Tv, alla quale ha accusato la polizia di eccessiva brutalità nel reprimere le manifestazioni e di essere responsabile della morte del figlio. La polizia ieri ha utilizzato idranti e gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti, tutti giovani, che urlavano in faccia ai poliziotti “siamo pacifici, siamo pacifici”. Dalle immagini diffuse dalle televisioni, dalle agenzie stampa internazionali e dagli utenti sui social network appare chiaro come la polizia abbia usato la mano pesante sui giovani manifestanti, ma anche come, in altri frangenti degli scontri di ieri, interi gruppi di poliziotti abbiano preferito non intervenire a lasciare fare ai manifestanti.

Da giorni centinaia di persone si riuniscono nelle principali città del Paese (compresa Eldoret, città natale del presidente William Ruto, ma anche Nakuru, Kisumu e Nyeri.) e nel Central business district di Nairobi per esprimere il loro disaccordo con la legge finanziaria. Nel caos di giovedì i deputati kenioti hanno adottato il disegno di legge, con qualche modifica che va incontro alle richieste dei manifestanti. La legge dovrà ora essere approvata dal Senato martedì: il governo del presidente Ruto ha ritirato dal progetto di bilancio 2024-2025 la maggior parte delle misure fiscali previste, tra cui un’Iva del 16% sul pane e una tassa annuale del 2,5% sui veicoli privati, oltre a tasse sulle transazioni di denaro mobile, utilizzatissimo in Kenya.

A differenza del passato, le proteste di questa settimana sono guidate dai giovani piuttosto che dai politici e sono state per lo più pacifiche: una nuova generazione di manifestanti sta mostrando il proprio volto e avanzando le proprie richieste, passando dalla rabbia sui social alla rivolta di strada. Sui social vengono utilizzati principalmente due hashtag, #OccupyParliament, #RejectFinanceBill e #GenZ, quest’ultimo per sottolineare l’identità giovanile dei manifestanti. Tra loro ci sono anche persone più anziane, scese in piazza per solidarietà con i giovani, la fascia maggiormente colpita da questi aumenti delle tasse: diversi studenti universitari lamentano di essere già in difficoltà a pagare le tasse universitarie e anche, banalmente, la cancelleria e i libri necessari a studiare. Diverse ragazze, tutte molto giovani, protestavano per le strade di Nairobi mostrando ai fotografi e ai cameramen degli assorbenti: “Non possiamo più comprare nemmeno questi” gridavano. Tra i manifestanti c’erano anche giovani professionisti, tra cui medici e avvocati, che offrono servizi ai manifestanti. I tentativi di marciare verso il pParlamento sono stati vanificati perché la polizia ha utilizzato i cannoni ad acqua.

Il governo ha spesso difeso le misure fiscali come necessarie per ridurre il debito nazionale del paese di quasi 80 miliardi di dollari: mercoledì, Ruto in persona ha detto che protestare è un diritto democratico e costituzionalmente garantito ma ha anche detto che le proteste “non paralizzeranno il processo decisionale”. Intanto, la polizia del Kenya è nuovamente al centro di accuse, da parte di organizzazioni nazionali ed internazionali, circa la violazione dei diritti umani e civili dei manifestanti: un morto e almeno 200 arresti sono sicuramente troppo per un Paese democratico come il Kenya. Dall’altro lato, tra i manifestanti, l’unica arma spuntata tra le mani di chi protestava era uno smartphone, sempre con telecamera accesa e diretta streaming su qualche social

La polizia del Kenya ha avuto non poche difficoltà nel reprimere le manifestazioni. Il problema è la grande novità di questa protesta, ovvero l’assenza di una leadership riconosciuta che dirige e convoca i manifestanti: il sistema poliziesco di repressione non è infatti abituato ad agire unicamente sulla folla, in quanto in genere prende di mira principalmente i promotori della protesta, seguendo l’idea che colpendo la leadership la folla si disperderà. In effetti è sempre stato così, fino a oggi: a differenza di qualsiasi altra protesta politica nella storia del Paese africano, non ci sono stati saccheggi, distruzione di proprietà pubbliche o private né lanci di pietre, non c’era una testa a coordinare la protesta e non sono state menzionate affiliazioni politiche o allineamenti. I manifestanti hanno chiesto unicamente l’opportunità di poter essere ascoltati.

polizia

La protesta in realtà è iniziata sui social diverse settimane fa, quando è stata diffusa la bozza di legge finanziaria. Diversi tiktokers keniani e molti influencer hanno condiviso sui loro canali social la bozza e i loro commenti sugli aumenti delle tasse, contenuti andati subito in tendenza in tutto il Kenya. Questa tattica di “guerriglia marketing” è diventata massiccia quando sono cominciati a circolare sui social i numeri di telefono dei parlamentari, con l’invito al pubblico di “mandare un Sms al tuo parlamentare” per fargli pressione a non votare la legge finanziaria: il deputato Stephen Mule ha detto ai media locali che il suo telefono era stato invaso da più di 30.000 messaggi di giovani keniani che gli chiedevano di non votare la legge. La stessa tattica è stata adottata verso i media, coinvolti nelle conversazioni online per rendere più facile ai giornalisti il lavoro di raccolta delle informazioni, che hanno amplificato le voci della protesta dando loro anche una legittimità in più, quella dei media tradizionali.

Nel frattempo, il rischio che qualche politico potesse mettere il cappello sulla protesta e cavalcarla a fini elettorali o propagandistici è stato azzerato dagli stessi attivisti online, che con centinaia di messaggi specifici hanno invitato la politica a restare lontana dalla proteste, alcuni citando proprio il leader dell’opposizione, Raila Odinga, a stare lontano dalle manifestazioni. Willy Mutunga, un anziano ex presidente della Corte Suprema del Kenya, ha dichiarato alla Bbc che i giovani di tutto il mondo hanno un nemico comune: le “rispettive classi dirigenti. La rivolta è all’orizzonte”.

Il Kenya è tra i Paesi con il più alto tasso di utilizzo di TikTok al mondo. A marzo, il ministro degli Interni ha minacciato di limitare l’uso di TikTok, accusato di diffondere contenuti dannosi: il governo teme che i social media possano essere utilizzati per promuovere odio politico e ha spinto per una supervisione più rigorosa da parte delle autorità di regolamentazione.

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