di Luis Tato / Afp
La cerimonia dell’eunoto riconnette le nuove generazioni alla cultura tradizionale. Oggi molti giovani masai lasciano la vita del villaggio per cercare un futuro nelle grandi città keniane. Studiano e lavorano lontano dalle comunità di origine, e i legami rischiano di affievolirsi. Il rito di passaggio all’età adulta è l’occasione di rivestire i panni dei guerrieri e riscoprire le proprie radici
Adorni di un copricapo cerimoniale di piume di struzzo, e con i capelli tinti di rosso ocra, i giovani masai sono intenti a scattarsi selfie. Hanno appena completato il primo giorno dell’eunoto, il rituale che segna il passaggio del giovane guerriero all’età adulta. «Oggi diventiamo uomini», dice con orgoglio Hillary Odupoy, 22 anni, sfoggiando occhiali da sole e un filo di perle sul petto nudo. Il ragazzo studia medicina, sogna di diventare chirurgo, ma oggi si è radunato con centinaia di coetanei nel villaggio di Nailare, un grumo di capanne nelle praterie del Kenya sud-occidentale. Hanno età compresa tra i 18 e i 26 anni, sono tutti appartenenti alla stessa generazione di morana (“guerrieri” nella lingua masai), uno status che hanno mantenuto per un decennio. Molti di loro hanno lasciato da tempo le famiglie per lavorare o studiare nelle città di Kisii o di Nairobi, o, come nel caso di Odupoy, si sono spinti più lontano, all’Università di Machakos, città a più di sette ore di strada.
«Non potevo mancare a questo appuntamento», dice Odupoy sfoderando un sorriso raggiante. «L’eunoto è una cerimonia cruciale che scandisce la vita di ogni uomo masai. Per questo siamo qui in tanti. Non avremo altre occasioni del genere in cui incontrarci in una tale moltitudine. Oggi tanti giovani abbandonano la vita tradizionale per cercare un futuro in città. Ma questa cerimonia ci aiuta a riscoprire le nostre radici e la nostra identità».
Festa di comunità
C’è aria di festa a Nailare. I vicoli polverosi del villaggio sono ingombri di gente accorsa per questa occasione speciale: il rito di passaggio si tiene ogni otto-dieci anni. L’evento riunisce le famiglie dei morana, nonché gli abitanti e i funzionari locali, per un totale di diverse migliaia di persone. L’eunoto dura cinque giorni e prevede l’alternanza di canti tradizionali, danze in fila indiana su una gamba e l’adumu, il famoso salto ritmato dei Masai. Vengono sacrificate vacche e il loro sangue viene bevuto dai giovani, i cui capelli sono stati rasati dalle madri. Tutti i giovani esibiscono un look rosso, il colore sacro dei Masai: dai capelli ricoperti di una miscela di ocra e olio, ai tradizionali shuka (coperte usate anche come tuniche) di stoffa scozzese. Al termine della cerimonia, gli uomini abbandoneranno la spada del guerriero e impegneranno il fimbo, il bastone da passeggio degli “anziani”.
Per secoli gli uomini masai hanno attraversato tre riti di passaggio (che sono iscritti dal 2018 nella “Lista Unesco del patrimonio culturale immateriale che necessita di urgente tutela”): l’enkipaata segna il passaggio dall’infanzia allo stato di moran; l’eunoto indica il passaggio a “giovane anziano”; infine l’olng’esherr certifica l’inizio dello stato di anziano. Ma queste tradizioni dei Masai, pastori originariamente seminomadi che vivevano nel Kenya sud-occidentale e nella Tanzania settentrionale, hanno dovuto adattarsi ai cambiamenti e alle esigenze della vita moderna. I morana non trascorrono più due anni in un villaggio isolato, come avveniva in passato, ma vi si incontrano solo durante le vacanze scolastiche per apprendere la storia e le tradizioni nonché le regole della vita nella loro società di origine. «Oltre all’istruzione occidentale conta anche l’educazione tradizionale», afferma convinto Peter Ledama Ntuntai, 24 anni, studente di agraria. «La nostra cultura ci insegna come comportarci nella vita e come affrontare i problemi e le sfide che incontriamo sul nostro cammino».
«Ci adattiamo ai tempi»
Olerina Karia, 52 anni, è una delle donne incaricate di tenere queste lezioni di vita ai giovani masai. «Insegniamo loro a essere cittadini responsabili e membri della società», spiega. «In questo senso siamo tutti impegnati a superare certe usanze che erano diffuse in passato ma che oggi non sono più accettabili per le nostre comunità, come l’uccisione di un leone o la circoncisione delle ragazze. Il nostro compito è insegnare alle nuove generazioni a liberarsi dei retaggi negativi o controversi che entrano in conflitto con la legge». Per la tradizione, l’uccisione del leone dimostrava il coraggio degli uomini, ma in Kenya questa pratica è illegale da decenni. «Il declino della popolazione dei leoni, un animale minacciato anche dal bracconaggio, danneggia il turismo, preziosa fonte di reddito anche per le nostre comunità», argomenta Olerina Karia. «È nell’interesse di tutti rispettare gli animali della savana».
In teoria, i giovani masai possono sposarsi solo dopo avere conseguito lo status di adulti e la loro sposa deve essere stata circoncisa. Ma la circoncisione femminile, o mutilazione genitale femminile (Mgf), è vietata in Kenya dal 2011 e ufficialmente non è più praticata né raccomandata. «Puoi essere un Masai senza uccidere un leone e senza subire Mgf», afferma Hillary Odupoy. Non solo. Al giorno d’oggi, alcuni morana non aspettano di sottoporsi all’eunoto per sposarsi. «Le dinamiche della società sono cambiate», riflette Olerina Karia. «Molti giovani vanno a scuola in città lontane dai loro villaggi di origine, a volte incontrano le loro fidanzate nel contesto scolastico, e assieme decidono di sposarsi senza sottoporsi all’iter previsto dalla tradizione. A noi, custodi dei valori dei Masai, non rimane che adattarci ai tempi che cambiano».
Secondo l’ultimo censimento (2019), i Masai sono il decimo gruppo tribale più numeroso del Kenya, con una popolazione inferiore a 1,2 milioni di persone. «Il nostro popolo è sempre più disperso e molti dei nostri figli scelgono strade diverse da quelle degli antenati. Il rituale dell’eunoto rappresenta un’occasione preziosa per riconnettere i giovani alla cultura tradizionale e tenere vivo l’orgoglio di appartenenza a una civiltà antica e nobile», sottolinea Olerina Karia, che non nasconde le preoccupazioni: «La nostra più grande paura è che nel prossimo futuro potremmo non essere più in grado di praticare queste cerimonie».
Questo articolo è uscito sul numero 6/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui.