Tra grandi misure di sicurezza e tensioni tra le diverse fazioni politiche, in Kenya si sono ripetute ieri le elezioni presidenziali, dopo che la tornata dello scorso 8 agosto era stata annullata dalla Corte Suprema a causa di irregolarità. Già dato per sicuro vincitore è il Presidente uscente Uhuru Kenyatta, dal momento che il leader del principale partito d’opposizione, Raila Odinga, ha deciso di boicottare il voto ritirando la propria candidatura e esortando i suoi sostenitori a disertare le urne, dichiarando di “non partecipate a questa parodia di elezioni democratiche”.
L’affluenza registrata ai seggi durante la mattinata è infatti molto bassa e si segnalano anche scontri tra polizia e manifestanti dell’opposizione che hanno eretto barricate e hanno tentato di bloccare l’accesso ai seggi nella città occidentale di Kisumu e nella bidonville di Kibera, a Nairobi, considerate roccaforti di Odinga.
Il Presidente Kenyatta parlando davanti a un seggio ha sostenuto che il 90% del Paese è calmo e ha detto che il Kenya deve sbarazzarsi delle politiche legate ai gruppi etnici: “Quello che abbiamo è un problema di tribalismo”.
Kenyatta era uscito vincitore dalla prima tornata elettorale, su Odinga, imponendosi con il 54% dei consensi, ma il suo avversario aveva presentato un ricorso, accolto dal tribunale della nazione africana. Intanto, gli elettori dell’opposizione avevano manifestato per tre giorni, dopo il voto, scontrandosi duramente con la repressione delle forze dell’ordine e il bilancio delle vittime ad oggi è di 37 persone.
Punta il dito contro le contrapposizione etniche anche padre Mariano Tibaldo, missionario comboniano per oltre trent’anni in Kenya che ai nostri microfoni ha fatto una fotografia della situazione nel Paese africano: “È chiaro che elezioni vuol dire anche scontri etnici, insicurezza, e anche poi un risvolto economico molto negativo, come sta succedendo appunto nel Paese. I partiti politici si identificano molto con le etnie. Raila Odinga – del partito dell’opposizione – è più con i luo, mentre il partito di governo è più con i kalenjin e con i kikuyu. Sono contrasti molto forti che sono state alimentate dalla politica lungo gli anni”.
Padre Mariano ha parlato anche del contributo della Chiesa locale per il dialogo e la pacificazione nazionale: “I cattolici sono circa 23-27% della popolazione kenyota e i cristiani nel totale sono almeno 70%. Quindi la Chiesa cattolica, insieme alle altre Chiese cristiane, può certamente contribuire e lo sta facendo. Può contribuire a questo dialogo: con tutti gli uomini di buona volontà, non solo con le Chiese ma anche con gli altri gruppi sociali, per esempio con i musulmani, gli affiliati alle religioni tradizionali”.
“Ciò che sta avvenendo in Kenya – ci tiene comunque a sottolineare Padre Mariano – non ha dei risvolti religiosi, non ci saranno delle lotte religiose; ci sono e ci saranno senz’altro delle lotte inter-etniche e tribali ma certamente non religiose”.
Fatto sta che fino alla vigilia del voto i leader religiosi del Kenya hanno cercato di portare al tavolo della trattativa il Presidente uscente Kenyatta e Odinga come rileva il messaggio dei vescovi del Kenya, diffuso ieri, 25 ottobre, e pubblicato dall’agenzia Fides: “Abbiamo cercato freneticamente di far incontrare il Presidente Uhuru Kenyatta e Sua Eccellenza Raila Odinga, ed avevamo la speranza di poter trovare una soluzione all’empasse politica”.
“Abbiamo reso noto e desideriamo – proseguono i presuli – che rimanga registrato che era nostro desiderio che tutti i problemi pertinenti fossero risolti prima delle elezioni”. La Conferenza Episcopale riteneva che fosse meglio rinviare il voto, nel rispetto della procedura costituzionale, per preparare un’elezione che fosse al di sopra di ogni sospetto di brogli, “per evitare di dividere ulteriormente il Paese”.
(27/10/2017 Fonte: News.va)