Di Giulia Tringali e Filippo de Rosa
Non si fermano le manifestazioni antigovernative in Kenya. A protestare contro il presidente Ruto sono i giovani che chiedono giustizia, trasparenza e dei leader che possano essere definiti come tali. Le proteste, iniziate come uno sfogo online di rabbia per i quasi 2,7 miliardi di dollari di aumenti fiscali previsti dall’ormai tramontata legge finanziaria, si sono trasformate in un movimento nazionale e generazionale contro la corruzione e il malgoverno.
#OccupyEverywhere è l’hashtag che gira sui social e i post online, nelle chat di gruppo su Whatsapp e piattaforme sfuggite al controllo del governo kenyota. Dopo le proteste del 25 giugno, dove la polizia è intervenuta uccidendo, secondo le fonti ufficiali, 24 giovani tra cui un bambino di 13 anni perforato da otto pallottole, gruppi di giovani in tutto il Paese si sono organizzati online e hanno indetto i “7 days of justice”: sette giorni di proteste in tutto il Kenya per non dimenticare e denunciare il sistema corrotto e ingiusto.
È la prima volta che in Kenya nasce questo tipo di protesta dal basso non su base tribale o partitica, che tiene lontano anche i politici di opposizione come Raila Odinga, una protesta che vede protagoniste la Gen Z e i Millenials, generazioni che hanno potuto studiare, che sanno usare i social network, conoscono quello che avviene nel resto del mondo e sono diventate consapevole del proprio potere.
Flavian, laureata in giurisprudenza, oggi non è andata al lavoro nella sua azienda che produce cosmetici per scendere in strada con le sue colleghe nel Central Business District di Nairobi. “Su Instragram abbiamo visto quello che è successo alla scorsa manifestazione, siamo stanche delle bugie del governo corrotto. Due anni fa in campagna elettorale il presidente prendeva parola nelle chiese e stava tra la gente facendo promesse che non ha mai mantenuto. Vogliamo un cambiamento! Il governo continua ad alzare le tasse e a demolire case, ha aumentato il prezzo del latte, del pane e non fa nulla per la popolazione” afferma con forza cercando di sovrastare lo strillare dei fischietti dei manifestanti. “Non è facile trovare un lavoro in Kenya, se non conosci qualcuno ai piani alti – afferma un giovane manifestante laureato in ingegneria dell’automazione – il vero problema sono i nostri leader, sono corrotti e bugiardi. Continuiamo a studiare ma poi dobbiamo arrangiarci a trovare lavoretti vari, io cerco di fare del mio meglio e dato che ho studiato sensibilizzo i miei amici per riuscire a farci sentire e manifestare insieme contro questo sistema ingiusto”.
Intanto nella CBD cominciano a convergere sempre più persone, così come in altre zone della città e sulle strade principali. È passato mezzogiorno e le proteste aumentano di intensità, la polizia continua a lanciare i gas lacrimogeni e a sparare ad altezza uomo. Online cominciano a circolare video con i feriti e sull’autostrada manifestano pacificamente a fianco delle madri dei ragazzi uccisi il 25 giugno altri gruppi di giovani. I sette giorni di giustizia puntano a mobilitare tutta la società civile, farla scendere in strada per protestare pacificamente attaccando i poster dei politici che hanno votato a favore della legge finanziaria tanto contestata e dei poliziotti che hanno ammazzato i ragazzi. In mezzo a questi ci sono anche manifestanti violenti che si scontrano con la polizia la quale risponde con una violenza cieca e spropositata.
“Il presidente sta ordinando alla polizia di sparare e ammazzare senza rispettare il nostro diritto di protestare pacificamente. Noi scendiamo in piazza e documentiamo con i social la brutalità dei poliziotti” afferma Terry, collega di Flavian, mentre viene lanciato un lacrimogeno a pochi metri da lei a cui risponde con un sonoro “Vaffanculo!” guardando gli uomini armati poco distanti.
Le proteste hanno raggiunto il loro picco nel pomeriggio e sono dilagate in tutto il Paese, da Nakuru a Mombasa, alcune case dei parlamentari che hanno votato a favore del Finance Bill sono state incendiate e nel frattempo è stato ritrovato a 100 chilometri dalla capitale uno dei cinque influencer, sostenitori delle proteste, che dopo il 25 giugno era sparito dalla circolazione.
Il piano per domani è scovare dove vivono i poliziotti assassini e denunciarli. Giovedì 4 luglio sarà il giorno più importante, dove tutti i cittadini kenyoti di ogni età saranno chiamati a scendere e sedersi nelle strade principali, nessuno dovrà andare al lavoro, tutti dovranno stare seduti in silenzio a protestare contro il governo e la violenza della polizia. Questi fatti ricordano le proteste del 2020 avvenute dal lato opposto del continente, in Nigeria, contro la SARS, la polizia nigeriana accusata di violenze e torture. In quell’occasione i giovani, gli artisti e gli universitari sono scesi per strada bloccando gli assi principali per protestare in silenzio contro le violenze di stato. Oggi in Kenya sembra che i giovani si stiano risvegliando e prendendo coraggio, cominciando ad andare contro le gerarchie e le etichette. Pretendono giustizia, trasparenza e dei leader che possano essere definiti come tali.