Kenya: Westgate, l’attentato che ha cambiato Nairobi

di claudia

La città di Nairobi porta ancora oggi i segni dell’attacco al centro commerciale situato nel quartiere Westgate, nelle Westlands, in cui il 21 settembre 2013 rimasero uccise 63 persone e ferite 175. Il 21 settembre 2013, esattamente 10 anni fa, quattro uomini armati di Ak-47 hanno attaccato il centro commerciale Westgate, un centro commerciale di lusso nel quartiere Westlands di Nairobi: gli aggressori arrivarono a bordo di una Mitsubishi lancer iniziando a lanciare granate e sparare a caso contro passanti e clienti del centro commerciale. Hanno poi fatto irruzione all’interno prendendo di mira indiscriminatamente qualsiasi persona capitasse loro a tiro.

L’attacco fu rivendicato dal gruppo somalo al-Shabaab, che l’anno dopo pianificò un altro attacco a Mombasa, città portuale del Kenya.

Nel 2020, un tribunale keniota ha condannato due uomini a 18 e 33 anni di carcere per essere stati giudicati colpevoli di aver aiutato i militanti islamici ad attaccare un centro commerciale nel 2013 ma i miliziani si sospetta che morirono tutti nel centro commerciale. Ad oggi, le uniche due condanne per i fatti del Westgate sono a Mohammed Ahmed Abdi, condannato a 33 anni di reclusione, e Hussein Hassan Mustafa, incarcerato a 18 anni. Secondo la ricostruzione ufficiale, i quattro militanti che hanno compiuto l’attacco sono stati trovati morti tra le macerie del centro commerciale.

Quell’attacco ha cambiato totalmente l’approccio del Kenya alla sicurezza e al rischio terrorismo, più ancora dell’attentato dinamitardo all’ambasciata americana di Nairobi del 7 agosto 1998, ad opera di al-Qaeda. Oggi per entrare in qualsiasi centro commerciale, edificio o ufficio pubblico, banca, albergo, etc bisogna attraversare almeno un metal detector lasciandosi controllare zaini e borse e le guardie armate private sono dappertutto a Nairobi, non solo nel Central business district. Le guardie di sicurezza private, nel corso degli anni, sono diventate una pedina fondamentale nello scacchiere antiterrorismo del Kenya e oggi sono perfettamente addestrate, grazie a programmi pubblici di formazione, su come individuare, denunciare e annullare diverse forme di crimini, incluso il terrorismo.

Inoltre, il lavoro dell’intelligence keniota si è raffinato molto nel corso di questo decennio: una settimana prima dell’attacco al Westgate infatti la polizia del Kenya aveva fatto sapere di aver sventato “un grande attacco terroristico”, arrestando persone di nazionalità somala e sequestrando armi, munizioni e giubbotti di protezione. Un blitz che, tuttavia, si era rivelato semplicemente fumo negli occhi del dispositivo di sicurezza del Paese africano, beffato dagli Shabaab che, all’epoca, si diceva vivessero nel povero quartiere di Kibera, a Nairobi.

Oggi il Paese guarda alla memoria del Westgate con disincanto e un pizzico di consapevolezza in più sull’importanza di un approccio collettivo al tema del terrorismo: a Nairobi i controlli, poco invasivi, cortesi ma continui, sono letteralmente dappertutto, come dappertutto sono adesivi, volantini e cartelli che invitano la popolazione a denunciare gli estremisti (non si fa riferimento a una religione specifica, in una città divisa quasi a metà tra musulmani e cristiani) e a segnalare situazioni sospette. Una vita più accorta, quella del dopo-Westgate, evento che per il Kenya è oggi l’equivalente dell’11 settembre per gli Stati Uniti.

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