Sirine Charaabi, 22 anni, è boxeur italiana di origine tunisina. Chiamata in nazionale all’età di 14 anni, nonostante il suo talento nella boxe, le viene impedita la possibilità di rappresentare l’Italia negli incontri ufficiali perché non era in possesso della cittadinanza. La sua pratica giaceva in un cassetto, fino a quando, grazie alla vittoria del campionato, qualcosa finalmente si smuove. Ma, cosa sarebbe successo se non avesse vinto? Una vicenda che alimenta il mito della cittadinanza come privilegio
di Iacopo Taddia – NuoveRadici.world
Sirine Charaabi risponde sottovoce da una camera di hotel. Dice che è a Pompei, anzi lo sussurra, perché non vuole svegliare nessuno. Nonostante ciò, non riesce a trattenere una risata: si era completamente dimenticata della telefonata. Non è in vacanza, ma come spesso accade nei weekend è in giro per l’Italia, sul ring, nei tornei più importanti della penisola. Nel recupero, tra un incontro e l’altro della Women Boxing League, abbiamo chiacchierato. Prende la borsa e lascia la camera, il tono della sua voce si fa più incalzante. Mentre fa colazione, racconta come le è capitato di diventare uno dei migliori prospetti della boxe italiana. Sirine Charaabi è una boxeur di talento, ha 22 anni. I suoi genitori sono entrambi tunisini. Lei e la sua gemella sono nati in Tunisia, e ci sono rimaste per 18 mesi. Poi, nel 2001, grazie al ricongiungimento famigliare, hanno raggiunto il padre in Italia, in provincia di Caserta.
L’arrivo in Italia e l’incontro con la box
«L’arrivo in Italia è stato semplice, naturale. Sono sempre stata a mio agio, non mi sono mai sentita estraniata o diversa. Pure da piccolina, sono sempre stata ben integrata, anche per il mio carattere: sono una persona che fa amicizia, che sa farsi accettare». Dalla simpatia genuina e contagiosa che traspare dalla sua parlata campana, non fatico a crederle. L’infanzia di Sirine a San Prisco, in provincia di Caserta è spensierata, scorre tranquillamente. Non si discosta di molto da quella della maggior parte delle persone. Almeno fino ai suoi 5 anni.
Mio cugino viveva con noi, eravamo molto legati. Lui faceva boxe in Tunisia, e voleva continuare. Nella nostra zona c’è una sola palestra e ha iniziato a frequentarla. Avevo cinque anni, volevo imitarlo, o comunque stare con lui. All’ennesima richiesta di portarmi in palestra, ha ceduto.
Inseguendolo indossa i guanti da boxe quasi per scherzo, giusto per stare con lui. A differenza del cugino, lei, non se li è più tolti. La palestra Tifate Boxe diventa casa sua, e lo storico allenatore locale, Giuseppe Perugino, accetta la sfida. La Tifate Boxe è la prima e unica palestra di pugilato nata nel territorio di San Prisco. Ha portato a grandi risultati, formando atleti di livello olimpico. Sirine usa l’appellativo di “maestro” quando parla di Perugino, il suo coach, dando al tono del suo discorso uno stravagante tocco rinascimentale. «Il mio maestro ha più di 70 anni, abbiamo un rapporto unico. Siamo entrambi orgogliosi, ed entrambi lo sappiamo. Ci capiamo con lo sguardo. Tutti i miei risultati sportivi li devo a lui». Nella palestra – che nella sua narrazione ha ormai acquisito tutte le sembianze di una bottega fiorentina – Sirine Charaabi è l’unica ragazza che pratica la boxe a livello agonistico. Senza battere ciglio, sotto l’occhio attento del coach, si allena con i ragazzi. «Il grande merito del mio maestro è quello di essere riuscito a mantenermi calma. Sapeva riconoscere un periodo no, non mi costringeva ad allenarmi, si limitava a dirmi: ‘Sirì, ‘a palestra aspett a te.’ E io poi tornavo».
La convocazione in nazionale
Sino a qui è una bellissima storia di sport. Quella di un talento raro, ma comunque un percorso analogo a molti ragazzi e ragazze del nostro paese. Lo step successivo, per tutti gli altri, è la convocazione in nazionale, e i primi tornei giovanili come atleti azzurri. La chiamata arriva anche per Sirine Charaabi, a 14 anni. Va ai ritiri, si allena con le compagne della nazionale. Poi però, finiti gli allenamenti, quando è il momento di salire sul ring per gli incontri internazionali, la storia si blocca. Come un disco difettoso, o un video che non si carica e improvvisamente rimane incagliato sullo stesso frame
Non avevo la cittadinanza, e non potevo rappresentare l’Italia in incontri ufficiali. A 18 anni l’ho chiesta, e mi sono messa ad aspettare. Funziona così: si fa domanda, e si aspetta che un giorno arrivi
Il fatalismo della burocrazia italiana si abbatte sulla carriera (ma anche sui sogni) di Sirine Charaabi. Il suo futuro da pugile, nonostante i suoi notevoli successi nei campionati nazionali, è in bilico. Per discipline come la boxe, l’impossibilità di partecipare a competizioni internazionali è un handicap irreparabile. Charaabi, per quanto turbata, non si scompone. Continua ad allenarsi. Dopo il diploma si prende un anno, in attesa di notizie dalla procura. Lancia una petizione su Change.org, ma la sua richiesta di ricevere la cittadinanza in tempi brevi per partecipare ai Mondiali in India resta inascoltata. Dopo 12 mesi di silenzio, si iscrive all’università. «Non potevo stare con le mani in mano. Ho seguito la strada di mia sorella, e mi sono iscritta a Mediazione linguistica, specializzandomi in arabo e francese. Fare il mediatore culturale per me sarebbe bellissimo: lavorerei nelle strutture di prima accoglienza, agli sbarchi, e dall’accento sarei in grado di capire l’origine dei rifugiati. È un mestiere che va molto oltre la traduzione, si tratta di interpretare, che è decisamente più profondo».
La cittadinanza arriva dopo la vittoria sul ring
Nel frattempo combatte, vince, ma perde anche. Nel 2018 arriva in finale nel campionato italiano élite prima serie e subisce una sconfitta cocente: «Stavo vincendo, poi ho preso un pugno che non dovevo prendere. E sono andata K.O.» Una sconfitta davvero dolorosa, ad un passo dal traguardo più ambito. Resa ancor più acre dalla consapevolezza che – anche arrivando al titolo –, l’opportunità di gareggiare alle Olimpiadi («il sogno di ogni atleta») sarebbe stata comunque negata dalla silenziosa indifferenza in cui giaceva la sua richiesta di cittadinanza. L’immagine della sua pratica in un cassetto polveroso, dimenticato, mentre lei crolla sul ring, sarebbe stata sufficiente per abbondonare completamente la speranza. Ma, nella boxe e nella vita, Sirine Charaabi tende a non abbattersi. E si rialza. Nel 2021 si prende la rivincita, in quella stessa finale che tre anni prima le era sfuggita per un pugno mal preso. «Riprovarci e riuscirci è stato qualcosa di inspiegabile. Io mi emoziono poco, ma su quel ring non sono riuscita a trattenermi» Un titolo fondamentale per la sua carriera da pugile, ma con conseguenze che vanno ben oltre il mero ambito sportivo. Qualche settimana dopo la vittoria, mentre aspettava il suo turno per un esame in DAD, squilla il telefono. «In quei giorni mi chiamavano giornalisti continuamente, e io iniziavo ad essere scocciata. Ok, ho vinto il campionato, ma non posso fare nulla con ‘sto fatto della cittadinanza». Risponde al telefono in malo modo, ma si ritrova dall’altra parte della cornetta la Prefettura di Caserta, che la chiamava per la notifica di accettazione di cittadinanza. Non si sa come sia andato l’esame di Sirine Charaabi quel giorno, ma di certo la sua vita sportiva è cambiata.
«Non ci ho creduto finché non ho toccato il passaporto italiano. L’ho detto a mia madre, che era con me. Ma il primo che ho chiamato è stato il mio maestro», ha raccontato a NuoveRadiciWorld. Un pezzo di carta, nulla di più. Eppure, un lascia passare necessario per ricominciare a sognare in grande. «Io mi sono sempre sentita parte della società italiana. Il pezzo di carta non mi dava nulla di più. Però senza quel pezzo di carta non potevo gareggiare in nazionale, il mio vero obiettivo». Il tempismo dell’ottenimento della cittadinanza, a poche settimane dalla vittoria del campionato nazionale, non è ovviamente casuale. «Aver vinto il campionato ha dato una spinta. Il vicepresidente della provincia di Caserta si è interessato alla mia pratica. Il resto è andato da sé». L’immagine del cassetto dimenticato ritorna. Questa volta però, un uomo entra nell’ufficio, leva le dita di polvere dal documento, e timbra il foglio: italiana.
Di questa storia rimane il talento di una giovane boxeur, e il fatalismo della burocrazia legata alle pratiche di cittadinanza, che ha rischiato di compromettere definitivamente il suo sogno. Una vicenda che alimenta il mito della cittadinanza come privilegio, come premio, che va guadagnato, e che quando arriva è il caso di festeggiare, perché più probabilmente, quel cassetto, rimarrà chiuso a tempo indeterminato
Sirine Charaabi, italiana da sempre, a 22 anni potrà partecipare per la prima volta agli Europei di categoria con la nazionale. Rimane da chiedersi: e se non avesse vinto il campionato?
(Iacopo Taddia)