di Gianfranco Belgrano
Sudan, Nigeria e Camerun tra i Paesi più colpiti del continente. Alta instabilità anche nel Corno d’Africa e in Repubblica Democratica del Congo, secondo l’indagine dell’organizzazione non-profit statunitense
Semmai ci fossero stati dubbi su un peggioramento dei conflitti globali negli ultimi cinque anni, l’ultimo rapporto di Acled li cancella definitivamente. Secondo l’organizzazione non-profit che ha sede negli Stati Uniti e che da anni raccoglie dati su conflitti e proteste violente, negli ultimi 12 mesi c’è stato un aumento del 25% delle violenze a sfondo politico che conferma un trend che va avanti da cinque anni; e, sempre nell’ultimo quinquennio, i conflitti sono raddoppiati. Così se nel 2020, gli eventi legati a situazioni di conflitto erano stati 104.371, nel 2024 è stata quasi raggiunta quota 200.000.
Questa impennata, si legge nel rapporto, è legata a tre grossi conflitti più o meno recenti – Ucraina, Gaza, Myanmar – che hanno fatto il paio con i conflitti in Sudan, in Yemen, nei Paesi saheliani e con le violenze in Messico.
Nel suo rapporto Acled, individua tre differenti livelli di conflitto (Extreme, High, Turbulent) e per quanto riguarda il continente africano, il triste podio dei Paesi che ricadono nella condizione peggiore (Extreme) vede insieme il Sudan, la Nigeria e il Camerun.
I conflitti più pesanti
In Sudan è in corso da quasi due anni un conflitto che vede da una parte l’esercito e dall’altra parte i paramilitari delle Rsf. Secondo i dati più recenti dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, almeno 3,1 milioni di persone hanno dovuto abbandonare il Paese a causa della guerra; mentre sono 8,6 milioni gli sfollati interni.
La guerra ha portato a una ripresa delle violenze intercomunitarie nella regione del Darfur, il numero reale delle vittime è sconosciuto, chi fugge spesso arriva in zone di confine remote, trovando pochissimi servizi di assistenza. La maggior parte degli sfollati è costituita da donne e bambini e da altre persone vulnerabili come anziani, disabili e malati.
La Nigeria è un Paese dai mille volti: prima economia e Paese più popoloso d’Africa, è anche teatro d’azione di gruppi armati, attivi soprattutto nel nord-est. Un decennio di conflitti e banditismo ha causato (dati Unhcr aggiornati al 2022) 3,1 milioni di sfollati interni.
Il Camerun è al tempo stesso terra di accoglienza di rifugiati (quasi mezzo milione di persone provenienti per lo più da Nigeria e Centrafrica) e teatro di conflitto tra forze governative e separatisti delle regioni anglofone. Una situazione non ancora risolta con il Paese che nel 2025 sarà chiamato alle urne per confermare o meno l’anziano presidente Paul Biya.
Le crisi da monitorare
Nella seconda fascia (High), il rapporto di Acled inserisce regioni che hanno storie di instabilità che vanno avanti da tanti anni. In questo gruppo rientrano alcuni Paesi saheliani – Mali e Burkina Faso -, il blocco del Corno d’Africa e dell’Africa orientale – Somalia, Etiopia, Sud Sudan, ma anche Kenya – e la Repubblica democratica del Congo.
A seconda dei casi si tratta di situazioni di conflittualità che si inseriscono in quadri di latente instabilità nazionale, come nei Paesi saheliani, o che per quanto riguarda il Kenya hanno più una valenza sociale e politica.
Concluso il conflitto in Tigray, l’Etiopia sta tuttora provando a riprendersi ma deve al tempo stesso affrontare pesanti criticità interne; la Somalia continua a essere luogo di confronto armato tra Shabaab e truppe governative, ma fatica anche a trovare una sua unità interna. La Repubblica democratica del Congo, nazione dalle grandi ricchezze naturali, resta un simbolo di “quella maledizione delle risorse” che non si riesce a trasformare in benessere per la popolazione e che, come in Kivu, diventa anzi pretesto di violenze continuate nel tempo. Il Sud Sudan, la nazione più giovane nel continente, paga infine gli effetti del conflitto in Sudan e paga ancora i conflitti interni che ne hanno segnato la sua giovane storia.
Aree di turbolenza
La terza fascia (Turbulent) comprende infine Paesi che stanno provando a uscire da un tunnel conflittuale e Paesi che invece vi sono entrati dalla porta della politica e dell’instabilità sociale. Nel primo gruppo rientrano la Libia, il Niger, il Ciad, il Centrafrica. Nel secondo gruppo, il Mozambico – con proteste post-elettorali non ancora sopite -, il Madagascar e il Sudafrica, dove all’ultimo appuntamento con le urne l’African National Congress ha perso per la prima volta la maggioranza assoluta. Accanto a questi Paesi, per motivi diversi ricadono anche Uganda, Burundi e Ghana.