Gli effetti economici della pandemia in alcune zone dell’Africa sono ancora ben visibili e attuali. Con il blocco dei confini, sono molti i casi in cui nelle zone di frontiera tra stati si registra il fermo di ogni attività economica. Le conseguenze si ripercuotono sui cittadini che, come nel caso della zona di confine tra il Ghana e la Costa d’Avorio, teatro di traffico di droga ed esseri umani, rischiano di diventare vittime di situazioni pericolose e insostenibili.
di Angelo Ravasi
La pandemia in Africa ha avuto e sta avendo conseguenze economiche importanti. Se anche nel continente molte attività sono riprese e le restrizioni si sono allentate, rimangono delle zone “grigie” dove la ripresa economica è ancora lontana dalla normalità. In molti casi l’economia di queste zone grigie è inesistente, come se la situazione pandemica fosse ferma al 2020. Si tratta, in particolare, delle aree di confine tra Stati.
I voli aerei sono ripresi in gran parte del continente, ma i confini terrestri e marittimi sono ancora chiusi proprio con la giustificazione di arginare e contenere il coronavirus. Aree dove la gente non ha di che vivere. Con il blocco dei confini si è fermata ogni attività economica legata ai commerci tra stati. Questo, per esempio, è il caso delle zone al confine tra Costa d’Avorio e Ghana. I cittadini che vivono alla frontiera di questi stati hanno, in più occasioni, protestato, anche vivacemente, ma senza nessun risultato tangibile. Nella cittadina ivoriana di Noè tutto è fermo. L’attività commerciale, una volta molto fiorente, è ora inesistente. I 5mila abitanti che popolano questa città di confine sono ormai stanchi, non sanno più di che vivere, in maniera legale, e quindi si inventano soluzioni per poter continuare nei commerci, anche se i risultati sono scarsi.
Noè sembra essere una città fantasma: negozi chiusi, strade deserte, autobus da trasporto e camion per le merci fermi. Un silenzio agghiacciante sembra incombere su questa città a soli 170 chilometri dalla capitale economica della Costa d’Avorio, Abidjan. Il punto di accesso al ponte che attraversa il fiume Tanoé, che segna il confine naturale tra i due paesi, è ermeticamente chiuso alla circolazione di merci e persone. “Noè sembra una città morta. Nulla si muove. Tutto è fermo”, spiega alla France Press Eloukou Yapo, presidente dei giovani di Noè. Il capo villaggio, Nanan Assi Atchan II, lamenta il fatto che non è possibile “attraversare i confini, mentre gli aerei stanno decollando. Per me tutto ciò non ha senso. La popolazione sta soffrendo molto per questa chiusura. Ci sono ivoriani che hanno piantagioni in territorio ghanese e viceversa. Non possono accedere alle loro piantagioni che potrebbero andare in rovina”.
La gente, comunque, deve sopravvivere in un qualche modo. Per questo gli abitanti si sono organizzati per passare il confine nonostante i divieti. Sono state create molte piste artificiali per attraversare il fiume con canoe di fortuna così da poter proseguire, anche se in maniera molto ridotta, le attività commerciali. C’è chi paga circa 3 euro al giorno per attraversare il fiume per poter consentire ai propri figli di frequentare la scuola di lingua inglese al di là del confine. Sembra poca cosa ma quando il business è fermo diventa molto. Una situazione, inoltre, pericolosa e insostenibile. Se i commerci legali sono fermi, non è così per quelli illegali che proseguono su rotte ancora più nascoste.
Il confine tra la Costa d’Avorio e il Ghana è teatro, non solo del transito della droga, ma soprattutto del traffico di esseri umani, in particolare bambine e bambini che diventato schivi domestici o del sesso nelle comunità di pescatori ghaniani che migrano nella laguna di Abidjan. Il meccanismo è semplice. Le famiglie del Ghana, per esempio, mettono i figli al di là del confine, senza attraversarlo, dove se ne prendono carico gli intermediari che consegnano i bambini agli acquirenti. Tutto ciò non si è fermato.
Ad Adiaké, importante città del traffico lagunare con il Ghana, la situazione è identica e la chiusura dei confini è vista come l’inferno per la popolazione è il “pane” benedetto per i trafficanti di droga ed esseri umani. Nel passato, infatti, i maggiori sequestri di droga sono stati effettuati in questa zona e, secondo gli abitanti di questa città, la chiusura non farà altro che aumentare il traffico.
Nel marzo del 2020 le autorità ivoriane avevano adottato misure drastiche per arginare e contenere la diffusione del coronavirus non appena si sono verificati i primi casi: chiusura delle frontiere, stato di emergenza, coprifuoco, chiusura dei luoghi di culto e delle scuole, isolamento di Abidjan, epicentro dell’epidemia. Quasi tutte queste misure sono state gradualmente revocate, ma le frontiere terrestri e marittime rimangono chiuse. Se la Costa d’Avorio confina con Mali, Burkina Faso, Guinea, Liberia e Ghana, i legami economici, sociali e culturali con quest’ultimo paese sono particolarmente forti. Ghana e Costa d’Avorio sono due paesi “gemelli” per geografia, popolazione, agricoltura e, più recentemente, anche per la scoperta del petrolio. Sono, inoltre, i due più grandi produttori di cacao al mondo, con due terzi della produzione mondiale.
La Costa d’Avorio, abitata da 25 milioni di abitanti, è relativamente indenne dal virus, con pochi casi in rapporto alla popolazione, così anche di decessi. Anche per questo la popolazione spinge per la riapertura dei confini, proprio per dare respiro all’economia, ma senza imprudenze. Propone, infatti, di imporre il vaccino e il tampone a coloro che vogliono attraversare il confine. Un modo, anche, per controllare meglio le frontiere. Sembra essere una soluzione di buon senso.
(Angelo Ravasi)