La crisi dimenticata in Repubblica Centrafricana

di AFRICA

di Silvana Leone

Human Rights WatchMentre la sanguinosa crisi in Siria, a due anni dall’inizio della guerra civile, ha finalmente ottenuto l’attenzione della comunità internazionale, altrettanto non si può dire del conflitto nella Repubblica Centrafricana, paese caratterizzato da decenni di malgoverno che lo hanno portato a essere uno dei paesi con il più basso indice di sviluppo umano.

L’ex presidente François Bozizé, al potere con un colpo di stato nel 2003 e accusato di corruzione e autoritarismo, è stato rovesciato dalla coalizione dei Seleka (alleanza in lingua sango) nel marzo del 2013. Questo gruppo ribelle, partito dal nord-est del paese e arrivato fino alla capitale Bangui, è responsabile di omicidi, saccheggi e violenze indiscriminate anche nei confronti di donne, bambini e anziani. Sono tante le persone, in particolare nelle aree rurali, che hanno abbandonato le loro case e sono fuggite nei boschi per paura degli attacchi dei Seleka, che ormai presidiamo le strade e le altre principali infrastrutture del paese.

Fuori dalla capitale, lontano dai  pochi soldati della missione di peacekeeping dell’Unione Africana, i Seleka continuano ad attaccare i villaggi nella totale impunità. Human Rights Watch ha pubblicato un nuovo rapporto (I Can Still Smell the Dead: The Forgotten Human Rights Crisis in the Central African Republic) che documenta le uccisioni avvenute tra marzo e giugno 2013 a Bangui e nelle province, oltre alla distruzione di più di 1.000 abitazioni in almeno 34 villaggi del nord.

In questi ultimi mesi la situazione è addirittura peggiorata, sono aumentati gli attacchi ai civili in tutto il paese e più di un terzo della popolazione ha ora bisogno di assistenza. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha stimato che ci sono 227.000 sfollati interni e oltre 60.000 rifugiati nei paesi confinanti. Oltre 1,6 milioni di persone, il 36% su un totale di 4,6 milioni di abitanti, sono classificati come “vulnerabili”, di cui la metà bambini (in questo conflitto vengono anche forzatamente reclutati per combattere con i ribelli).

I Seleka avevano promesso un nuovo inizio per la Repubblica Centrafricana, invece continuano ad attaccare su larga scala i civili, a saccheggiare e a uccidere. Michel Djotodia, attuale presidente di transizione nonché leader dei Seleka, ha annunciato lo scioglimento della coalizione dei ribelli, ma non è ancora chiaro che cosa accadrà ai tanti combattenti armati.

Lo scorso 24 settembre, in occasione della 68ª Assemblea Generale nelle Nazioni Unite, il presidente francese, François Hollande ha dichiarato che la situazione centrafricana ci deve allarmare e ha chiesto che il Consiglio di Sicurezza dia sostegno logistico e finanziario alla Misca (Mission internationale de soutien à la Centrafrique), il cui obiettivo principale è quello di ristabilire l’ordine nel paese.

Questa missione di peacekeeping è presente sotto l’egida dell’Unione Africana per sostenere il governo di transizione, ma è carente di risorse e conta soltanto 1.400 soldati e poliziotti (provenienti da Congo, Camerun, Gabon e Ciad) su un totale previsto di 3.600 uomini.

Contrariamente a quello che molti si aspettavano, la Francia non interverrà. “Non ci sono gruppi terroristici come in Mali ma bande che seminano disordine e desolazione”, ha dichiarato François Hollande. Tuttavia la Francia ha schierato sul posto 450 uomini per difendere l’aeroporto e proteggere i suoi cittadini.

Anche il Segretario Generale Ban Ki-moon, ha lanciato l’allarme nel suo discorso di apertura all’Assemblea Generale, evidenziando che “milioni di persone sono tagliate fuori dall’assistenza e possono essere vittime di abusi” e ha lamentato che la richiesta di fondi in favore della Repubblica Centrafricana abbia portato a “contributi irrimediabilmente inadeguati”, infatti solo il 37% dei 195 milioni di dollari necessari sono stati finanziati.

“La frase che ho sentito dire più spesso in Repubblica Centrafricana è stata ‘non dimenticatevi di noi’. I centrafricani hanno bisogno urgente di assistenza umanitaria, di sicurezza e di giustizia. Se solo più persone fossero in grado di trovarli sulla cartina geografica” (Lewis Mudge, ricercatore di Human Rights Watch).

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