di Marco Simoncelli
Dal 2015 a oggi gli shutdown di internet sono costati l’equivalente di 237 milioni di dollari all’economia della regione dell’Africa Subsahariana. È quanto rivela uno studio pubblicato venerdì scorso dall’organizzazione internazionale Collaboration on International Ict Policy in East and Southern Africa (Cipesa), che ha analizzato le conseguenze economiche delle interruzioni alla rete web messe in atto da molti governi africani per motivi di «sicurezza nazionale».
I risultati prodotti dai ricercatori dell’organizzazione basata a Kampala in Uganda, sono stati presentati a Johannesburg a margine del Forum sulla libertà di accesso ad internet in Africa (FifAfrica 2017). Il report ha fatto delle stime sui costi delle cosiddetta «cyber-censura» in dieci Paesi africani e ha scoperto che queste interruzioni prolungate della rete minano gravemente la competitività delle economie africane, oltre all’impatto negativo nel vissuto delle popolazioni sempre più connesse e dipendenti da questo mezzo.
I dati rivelano che queste perdite economiche hanno conseguenze negative che persistono anche per molti giorni dopo il ripristino del servizio. Questo perché gli shutdown turbano le filiere di distribuzione di servizi e provocano effetti a catena sul sistema economico che colpiscono la competitività delle imprese a ogni livello e la fiducia degli investitori.
Nel rapporto si legge che «malgrado i crescenti vantaggi economici associati all’accesso alla rete internet e il contributo dello sviluppo delle telecomunicazioni alla crescita del Pil, dal 2015 sono state registrate interruzioni di iniziativa governativa in 12 nazioni della regione. Le disconnessioni sono più frequenti durante i periodi elettorali e nel corso di proteste o manifestazioni».
Etiopia, Repubblica democratica del Congo e Camerun guidano la classifica di chi ha pagato il conto più salato con decine di milioni di dollari di mancato guadagno. In Etiopia i 36 giorni di blocco totale della rete uniti ai 7 giorni do oscuramento totale dei social network hanno causato 132,1 milioni di dollari di perdita. La Rd Congo, che è stato uno dei primi Paesi a farne uso nel gennaio del 2015 quando sono iniziate le proteste contro il presidente Kabila, ha perduto più di 46 milioni di dollari. Infine il Cipesa non può che segnalare il caso del Camerun, che con i suoi 93 giorni consecutivi di blackout per sedare le richieste di autonomia delle regioni anglofone imposto da gennaio ad aprile, ha totalizzato 38,8 milioni di dollari di perdite.
Un passivo che evidentemente non fa desistere il governo di Biya, i quale proprio lo stesso giorno in cui lo studio veniva pubblicato, ha dato il via a un nuovo oscuramento nella regione anglofona del Sudovest, questa volta limitato ai soli social network. Sembra sia colpita anche Bamenda, capoluogo della regione Nordovest. Il blackout è iniziato due giorni prima del 1 ottobre, data in cui i separatisti anglofoni avevano deciso di proclamare simbolicamente la loro indipendenza.
Per restare sull’attualità va detto che recentemente la cyber-censura è stata adottata dal governo del Togo per sedare le manifestazioni in corso in cui la società civile domandare riforme politiche e le dimissioni del presidente Gnassingbé. Secondo gli esperti del Cipesa, ogni giorno di blackout costa a Lomé 243.507 dollari.