La devastazione di Khartoum dopo due anni di guerra civile in Sudan

di claudia

di Valentina Giulia Milani

A due anni dall’inizio della guerra civile in Sudan, la capitale Khartoum è devastata e sotto il controllo di fazioni armate rivali. Le forze armate sudanesi hanno riconquistato parte della città dopo mesi di scontri urbani con le Forze di supporto rapido (Rsf), lasciando dietro di sé macerie e istituzioni distrutte.

A ormai due anni dallo scoppio della guerra civile in Sudan, la capitale Khartoum si presenta come uno scenario post-apocalittico. Il cuore civico e commerciale del Paese è in rovina, simbolo di un collasso sistemico che sta ridisegnando in profondità il tessuto politico e sociale nazionale. L’assenza di un parlamento, di una giustizia operativa, di un sistema sanitario e scolastico funzionanti, di un’economia in grado di reggere, testimoniano la frammentazione in atto sotto il controllo di fazioni armate rivali.

Le forze armate sudanesi (Saf) hanno recentemente riconquistato buona parte della capitale – inclusi i quartieri centrali, Khartoum Bahri e East Nile – dopo sei mesi di duri combattimenti urbani contro le Forze di supporto rapido (Rsf), che mantengono ancora il controllo di alcune aree orientali e meridionali di Khartoum e zone periferiche di Omdurman. La battaglia di al-Mogran, quartiere simbolico situato alla confluenza del Nilo Bianco e del Nilo Azzurro, è stata particolarmente violenta: qui si concentrano edifici strategici come la Banca centrale, la Zain Telecom Tower, la moschea al-Shaheed e il Coral Hotel, tutti gravemente danneggiati o distrutti.

La fonte indipendente Sudan War Monitor, che documenta il conflitto attraverso immagini, video e analisi sul campo, ha pubblicato numerosi contenuti che mostrano edifici governativi e infrastrutture civili devastate. Tra le strutture colpite figurano la sede della compagnia petrolifera Gnpoc, la Petrodar Tower, il Ministero della Giustizia, la Sudan News Agency, il Dipartimento di statistica e metrologia, banche e centri commerciali come Abu Al Fadl Plaza, l’Oasis Mall e l’Afra Mall.

Il palazzo presidenziale, noto come New Republican Palace, è stato riconquistato dalle Saf il 21 marzo dopo quasi due anni sotto controllo Rsf. Simbolo del potere statale, ospitava prima della guerra il presidente Omar al-Bashir e il generale Abdel Fattah al-Burhan. Oggi è gravemente danneggiato.

I dati umanitari fotografano una crisi di proporzioni immani: secondo le Nazioni Unite, 24,6 milioni di persone – la metà della popolazione – soffrono di insicurezza alimentare acuta, tra cui 3,2 milioni di bambini che rischiano la malnutrizione grave nel corso del 2025. La produzione nazionale di cereali è diminuita di oltre il 40%, in seguito all’abbandono o all’interruzione dell’attività agricola in molte regioni del Paese. L’economia è allo stremo: milioni di lavoratori, sia nel settore pubblico che in quello privato, non ricevono più lo stipendio dall’inizio della guerra, mentre la sterlina sudanese ha perso gran parte del suo valore e l’inflazione ha reso inaccessibili i beni essenziali. La carestia è già stata dichiarata ufficialmente in cinque aree e altre cinque potrebbero essere aggiunte entro maggio.

La crisi colpisce anche il sistema educativo: 17 milioni di bambini sono attualmente fuori dal circuito scolastico, con intere regioni prive di scuole funzionanti. Le epidemie, come il colera, si diffondono tra le popolazioni sfollate, aggravando ulteriormente la situazione. Circa 11,3 milioni di persone sono sfollate all’interno del Sudan e 3,9 milioni hanno cercato rifugio nei Paesi vicini, rendendo questa la più grande crisi di spostamento forzato oggi in corso a livello mondiale.

Il conflitto ha causato anche danni incalcolabili al patrimonio culturale, ricorda Sudan War Monitor: la cattedrale di St. Matthew, costruita nel 1908, è stata colpita ma resta in piedi; Etienne Square, un tempo luogo di ritrovo per intellettuali e artisti, è oggi deserta e vandalizzata. L’università di Khartoum è stata trasformata in una base militare e le sue facoltà danneggiate. Ospedali come l’East Nile Hospital sono stati bombardati, chiusi o abbandonati. I veicoli civili e industriali sono stati razziati o smontati per ricavarne pezzi di ricambio, come avvenuto nella località di Hajj Yusuf.

Nonostante l’enorme costo umano e infrastrutturale, nessuna trattativa di pace è attualmente in corso. Le uniche iniziative diplomatiche risalgono ai primi giorni del conflitto. Oggi i vertici militari dichiarano apertamente di voler continuare a combattere per anni: “Non ci saranno negoziati, né tregua, anche se la guerra dovesse durare 100 anni”, ha affermato il generale Yasser al-Atta, membro del consiglio militare.

Alcuni osservatori fanno notare che le divisioni interne minacciano la tenuta sia delle Saf che delle Rsf, mentre gruppi armati autonomi come la Darfur Joint Force e la brigata Al-Baraa bin Malik – legata al Movimento islamista e all’ex partito al potere – aumentano l’instabilità.

Il conflitto rischia anche di estendersi oltre i confini sudanesi: la settimana scorsa sono stati registrati scontri tra le Rsf e il gruppo Splm-Io all’interno del Sud Sudan, e le autorità militari di Port Sudan hanno minacciato attacchi contro il Ciad e il Sud Sudan, definiti “obiettivi legittimi”.

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