di Carol Simonetti – Centro studi AMIStaDeS
Molti Stati africani, oltre ad avere strutture di governo deboli che non sono in grado di controllare il territorio e di fornire i servizi più essenziali, devono anche fare i conti con una serie di problematiche interne ed esterne che ne indeboliscono ulteriormente l’operato. Questi Paesi si trovano spesso a dover affrontare tensioni politiche, etniche, religiose e sociali che facilitano il reclutamento di combattenti per i gruppi jihadisti. A ciò bisogna aggiungere le condizioni di estrema povertà di un’ampia parte della popolazione, fattore che ha sicuramente spinto migliaia di giovani africani ad unirsi ai vari gruppi terroristici attivi nel continente, incluso l’ISIS. Si stima che ad oggi siano circa 6.000 i militanti dello Stato Islamico in Africa, distribuiti in circa nove “cellule”.
Dalla terra dell’Iraq ai leoni dell’Africa
L’Africa sta diventando una regione sempre più strategica per lo Stato Islamico, che vi trova terreno fertile per la radicalizzazione e l’espansione dei propri interessi. Già dalla fine del 2016, Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS), aveva annunciato l’intenzione del gruppo di spostare parte del comando e delle ricchezze in Africa. Lo scorso 16 giugno è proprio il loro settimanale di propaganda, al-Naba, ad incoraggiare i suoi combattenti ad emigrare nel continente africano per stabilire nuove basi operative. In un video intitolato “Dalla terra dell’Iraq ai leoni dell’Africa”, l’ISIS dipinge la regione come futura terra delle sue principali operazioni, ed esorta i sostenitori a trasferirsi nel continente nero per “unirsi al Califfato”.
L’interesse di Daesh, equivalente dello Stato Islamico in lingua araba, a disporre una presenza in Africa non è ancorato alle risorse presenti nel territorio, bensì all’interno della visione di un califfato globale che ha contribuito a mostrarne continuità e crescita. Durante il periodo di forte ascesa in Iraq e in Siria, i suoi successi hanno generato un forte entusiasmo tra i giovani africani affascinati dal jihad. Si pensi che nel 2021 l’Africa è stato il continente con il maggior numero di vittime al mondo provocate dai gruppi jihadisti e nel 2022 la metà delle operazioni globali dell’ISIS sono state effettuate proprio in Africa, riuscendo a togliere persino il primato all’Iraq. C’è però da dire che l’entusiasmo è andato scemando man mano che l’illusione del modello di governo utopico jihadista è iniziato a svanire, quindi si ritiene che in futuro nessuna delle più grandi cellule dello Stato Islamico africano registrerà una crescita significativa.
Le cellule africane
Dalla dichiarazione dell’autoproclamato Stato Islamico nel 2014, l’ISIS è riuscito ad acquisire affiliati e sostenitori in quasi ogni paese della regione, anche se i legami e l’influenza su ciascuno di questi gruppi variano notevolmente. I collegamenti tra le varie province sono cruciali, in quanto facilitano i trasferimenti di fondi, la formazione dei membri e la mediazione tra le varie cellule. Il numero di combattenti di un gruppo dipende da un insieme di fattori, quali l’abilità di reclutamento, i finanziamenti ricevuti, la concorrenza con i gruppi vicini, l’efficacia delle strategie di antiterrorismo, e i legami con altre organizzazioni. Due punti importanti che influiscono sulla dimensione delle cellule sono l’accettazione dell’impegno da parte dello Stato Islamico Centrale, che permette di attrarre un maggior numero di combattenti, e il flusso verso l’Iraq o la Siria. Di seguito un’introduzione delle principali cellule africane legate a Daesh. Anche se alcune sono attualmente di dimensioni esigue, ognuna di esse rappresenta comunque una minaccia per la popolazione africana.
Stato Islamico della provincia dell’Africa Occidentale (ISWAP). Nel marzo 2015, Abubakar Shekau, leader di Boko Haram, ha promesso fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi, promessa che viene riconosciuta dopo solo cinque giorni. Da quel momento, Boko Haram cessò di esistere, convertendosi nell’ISWAP. Un anno dopo, a seguito di tensioni interne, lo Stato Islamico ha annunciato la sostituzione di Shekau con Abu Musab al-Barnawi, figlio del fondatore di Boko Haram. A luglio 2018, il Gruppo di Barnawi, che opera principalmente nella regione del bacino del lago Ciad, diventa senza dubbio la cellula più grande dello Stato Islamico in Africa, con circa tre volte e mezzo il numero di combattenti rispetto al secondo gruppo jihadista africano più numeroso.
Tuttavia, la scissione all’interno del gruppo ha sicuramente influito sul numero di combattenti i quali, riuniti sotto il nome di Boko Haram, si erano aggiudicati la nomea di “gruppo terroristico più letale al mondo”. A Maggio del 2021 è stato proprio l’ISWAP ad uccidere il rivale Shekau. Il sostegno dell’ISIS al gruppo è da sempre stato marginale e la principale influenza è stata proprio la sua reputazione, che ha permesso di associare le scarse fortune di Boko Haram nel nord-est della Nigeria a una causa più ampia. Nonostante la fazione di Barnawi abbia aiutato lo Stato Islamico Centrale a rivendicare più attacchi in Nigeria che in Iraq, da dicembre dello scorso anno le forze nigeriane hanno ottenuto risultati significativi che hanno portato all’uccisione di circa 200 membri del gruppo. Nel frattempo le rivalità tra le due fazioni continuano provocando numerosi scontri e altrettante morti.
Stato Islamico nella provincia del Sinai (IS-SP). L’IS-SP è una delle più grandi cellule dello Stato Islamico africano, secondo solo all’ISWAP. Il gruppo egiziano di Ansar Beit al-Maqdis (ABM), fondato in seguito alla cacciata di Mubarak durante la primavera araba, si era inizialmente dichiarata l’ala di al-Qaeda nel Sinai, sebbene non si fosse mai affiliata formalmente ad essa. Così, l’ISIS è stato in grado di negoziare una dichiarazione di fedeltà dopo che l’ABM aveva subìto un significativo logoramento della leadership per mano dell’esercito egiziano.
Il giuramento è stato accettato tre giorni dopo, segnando il riconoscimento più rapido di qualsiasi organizzazione africana allo Stato Islamico, così il gruppo prese il nome di Wilayah Sīnāʼ (Provincia del Sinai). Le tattiche di propaganda e di battaglia adottate si ispiravano alle strategie di Daesh in Siria e Iraq. Degno di nota l’abbattimento del volo russo Metrojet 9268, che ha causato la morte dei 224 passeggeri e dei membri dell’equipaggio. Tuttavia, la maggior parte delle azioni dell’ABM sono rivolte all’esercito egiziano. L’IS-SP sembra essere stato uno dei pochi ad aver instaurato legami relativamente stretti con lo Stato Islamico Centrale, riuscendo ad essere una delle poche cellule africane ad aver ricevuto da esso finanziamenti, armi e addestramento tattico.
Stato Islamico in Libia. In seguito alla guerra civile libica del 2011, che ha portato alla cacciata del colonnello Mu’ammar Gheddafi, molti ribelli si sono recati in Siria per affiancare i militanti che combattevano contro Bashar al-Assad. Nel 2012, un gruppo di questi ha istituito la Brigata Battar, la quale avrebbe giurato lealtà all’ISIS e combattuto in suo nome nelle terre del califfato. Dopo qualche anno, circa 300 veterani della Brigata sono tornati in Libia e hanno dato vita all’Islamic Youth Shura Council, che ha iniziato a reclutare jihadisti anche da altri gruppi preestistenti. In seguito al giuramento di fedeltà, al-Baghdadi annunciò la formazione di tre province dello Stato Islamico in Libia: Wilayat al-Barqah (Cirenaica, est), Wilayat al-Tarabulus (Tripolitania, ovest) e Wilayat al-Fizan (Fezzan, deserto meridionale). Sebbene l’espansione libica è vista da Daesh come un modello da seguire, attualmente l’ISIS non gode di un significativo sostegno locale nel paese.
Stato Islamico in Tunisia. La cellula, di piccole dimensioni, è emersa quando un gruppo chiamato Jund al-Khilafah (JAK-T) ha promesso fedeltà alla leadership centrale dello Stato Islamico, sebbene quest’ultimo non abbia mai riconosciuto la proclamazione. La Tunisia ha avuto un ruolo chiave nel reclutamento di jihadisti che sono poi affluiti in Siria e Iraq. Infatti, si pensa che sono circa 6.500 i tunisini che hanno lasciato il paese per sostenere la causa jihadista. Le battute d’arresto in Iraq e Siria potrebbero comportare un significativo flusso inverso di combattenti che porterebbero forti instabilità nel paese.
Stato Islamico in Egitto (IS-Misr). A differenza dello Stato Islamico nel Sinai, il gruppo ha sede nella terraferma egiziana. Nonostante ad oggi non ci siano tracce di un giuramento ufficiale allo Stato Islamico, il gruppo si è meritato notorietà grazie alla capacità di attaccare obiettivi governativi e stranieri. Emblematico l’attacco al Consolato italiano al Cairo con un’autobomba nel luglio 2015. La provincia dell’Algeria dello Stato Islamico (ISAP). Fondata da Abdelmalek Gouri, un membro di rilievo del Gruppo Al-Qaeda nel Magreb (AQNM), è stata la prima cellula dello Stato Islamico africano ad emergere, ma anche quella che si è esaurita più in fretta, lasciando oggi solo un numero esiguo di combattenti.
Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS). Il gruppo è nato nel maggio 2015 quando Adnan Abu Walid al-Sahrawi, un’alta carica di una cellula jihadista allineata ad al-Qaeda, ha promesso fedeltà ad al-Baghdadi. Insieme a dozzine di combattenti, hanno formato quello che poi divenne noto come ISGS. Attivi soprattutto nell’area dei tre confini dove si incontrano Mali, Burkina Faso e Niger, i militanti depredano gli abitanti dei villaggi e chiedono riscatto in cambio di protezione. Secondo le stime, solo nel 2022 il gruppo ha causato quasi 1.200 morti civili nel Sahel.
Stato Islamico in Somalia (ISS). L’ISS è emerso nell’ottobre 2015 quando l’ex ideologo di al-Shabaab, Abdul Qadir Mumin, ha promesso fedeltà allo Stato Islamico. Nonostante Daesh in Somalia abbia aumentato il proprio ritmo operativo dal 2018, non è ancora stato in grado di estrapolare l’egemonia jihadista ad al-Shabaab. Proprio in Somalia, il 25 gennaio è stata condotta un’operazione militare statunitense che ha portato all’uccisione di Bilal al-Sudani, anziano leader dell’ISIS, e di altri 10 membri. Al-Sudani non solo è stato cruciale per l’espansione delle attività dell’ISIS in Africa, ma è stato anche un facilitatore chiave dei finanziamenti della rete globale di Daesh.
Lo Stato Islamico in Tanzania, Kenya ed Uganda. Nell’aprile 2016, il gruppo Jabha East Africa ha annunciato fedeltà ad al-Baghdadi, anche se l’impegno non è mai stato riconosciuto. Per quanto piccolo, esso ha una composizione internazionale andata formandosi da combattenti insoddisfatti dal tipo di trattamento riservato da al-Shabaab ai suoi membri kenioti, tanzaniani e ugandesi. La violenza della cellula è sempre stata limitata a tal punto che non è chiaro se esiste ancora.
Ahlu Sunnah wa Jama’a (ASWJ). La presenza dell’ISIS in Africa meridionale è più evidente in Mozambico, dove le brutali campagne dei suoi affiliati hanno ucciso più di 3.000 persone e provocato quasi un milione di sfollati. Anche se il formale giuramento di fedeltà sia avvenuto nel luglio 2019, la solidità delle relazioni tra lo Stato Islamico e i miliziani di ASWJ è tuttora dubbia.
Vale la pena ricordare che le cellule dello Stato Islamico in Africa si sono evolute per lo più autonomamente, utilizzando il marchio “IS” come mezzo per accumulare potere ma ricevendo un supporto limitato dal comando centrale. Per questo, il declino di Daesh nel Levante ha avuto un impatto minimo sugli affiliati africani.
La Coalizione Globale contro Daesh è stata istituita nel settembre 2014 al fine di garantire la sconfitta duratura del gruppo. Infatti, sin dalla sua formazione, ha notevolmente indebolito gli sforzi dell’ISIS in Iraq e in Siria. È formata da 85 Stati membri impegnati a contrastare lo Stato Islamico su ogni fronte. Alla luce delle insurrezioni jihadiste che hanno tratto vantaggio dalle crisi sociali e politiche in atto nella regione africana, e in considerazione dell’espansione di Daesh in tutto il continente, nel dicembre 2021 è stato istituito l’Africa Focus Group, su proposta del governo italiano e sotto la supervisione congiunta di Stati Uniti, Marocco e Niger, allo scopo di sincronizzare i programmi di rafforzamento delle capacità e promuovere un confronto sulle iniziative promosse sul campo. Nel maggio del 2022, la Coalizione ha tenuto la sua prima riunione ministeriale nel continente africano, riflettendo la “necessità di affrontare la minaccia in evoluzione” in Africa.
Con la diffusione senza precedenti del jihadismo violento nel continente africano, l’Africa diventa quindi la nuova priorità della Coalizione, la quale si fa portavoce di nuove sfide che innescano nuove prospettive strategiche; tutto ciò avviene all’interno di un ambiente operativo molto complesso. La Coalizione dovrà lavorare attivamente per creare divisioni tra gli affiliati regionali del gruppo, intercettare i fondi destinati alle differenti cellule ed ostacolare i collegamenti tra gruppi. Ciò richiederà aiuti militari, una condivisione dell’intelligence e il coordinamento con gli organismi politici e di sicurezza regionali esistenti.
Fonti
https://newlinesinstitute.org/isis/isis-in-africa-the-caliphates-next-frontier/
https://ctc.westpoint.edu/islamic-state-africa-estimating-fighter-numbers-cells-across-continent/#:~:text=Another%20smaller%20African%20cell%20is,never%20acknowledged%20by%20the%20latter.
https://www.parlamento.it/application/xmanager/projects/parlamento/file/repository/affariinternazionali/osservatorio/approfondimenti/PI0175App.pdf
https://theglobalcoalition.org/en/
https://icct.nl/publication/a-global-strategy-to-address-the-islamic-state-in-africa/