Tra queste donne in guerra, incontrate e raccontate da Emanuela Zuccalà, molte sono africane. Per esempio Solange N’Guessan, «una delle tante africane istruite, volitive e intraprendenti che avrebbero potuto emigrare per vivere comodamente altrove e fare fortuna in terre meno ostiche…». E che invece, dopo aver studiato sociologia ad Abidjan e management agricolo in Benin e in Israele, è tornata al punto di partenza e ha deciso di impegnarsi per il riscatto delle mogli e figlie dei coltivatori del cacao, le figure che occupano forse il gradino più basso nella scala sociale della Costa d’Avorio. Con loro e per loro ha dato vita a una cooperativa che produce sapone, a partire dalla cenere degli scarti del cacao.
Oppure Jay Abang, che per prima ha creato, fuori della capitale ugandese Kampala, un servizio di supporto alle persone omosessuali e che si dedica quotidianamente a rimuovere lo stigma feroce che le accompagna nel suo Paese. L’autrice è una giornalista che ha davvero girato il mondo, per raccontare storie vere, di persone vere, impegnate in vere battaglie di sopravvivenza, piene di dignità e di senso. In Le guerre delle donne (Infinito, 2021, pp. 253, € 15,00) ce ne propone trenta.
La ragione di questo libro è molto semplice, quasi ovvia. «Volevo che queste testimonianze non si perdessero», scrive Emanuela. Il filo che le unisce non è l’appartenenza di genere, come a prima vista si potrebbe credere, ma il valore del no che in forme, modi e contesti diversi, queste donne hanno opposto a una condizione di ingiustizia e sopruso.
(Stefania Ragusa)