La guerra di Hollande mette in fuga gli Jihadisti dal Mali. Soddisfazione, ma…

di AFRICA

tratto dal blog “Buongiorno Africa” di Raffaele Masto

MaliWarLa macchina da guerra francese in poche ore ha ribaltato le sorti del conflitto in Mali. Sabato gli jihadisti minacciavano Mobti, ultima città prima della capitale Bamako. Oggi sono in fuga da Gao, 1200 chilometri a nord dalla capitale. Gli strateghi di Parigi hanno puntato su Gao con ragione: intorno a questa città, nel remoto e immenso deserto del nord del Mali, ci sono le più importanti basi dei miliziani islamisti e forniti depositi di armi.

Gao poi ha una rilevanza mediatica enorme per le popolazioni di tutto il Mali: gli jihadisti l’avevano fatta diventare il loro bastione, oltre che militare, anche ideologico e religioso. La popolazione civile di Gao, in parte di etnia Touareg, era costretta a subire i dettami di una legge coranica applicata in modo cieco e spietato.

Dal punto di vista strategico questi primi bombardamenti dei caccia francesi al nord dovrebbero costituire la classica operazione aerea preliminare prima dell’invio di truppe di terra che prendano possesso del territorio. Ora la guerra viaggia su due binari: quello dei combattimenti veri e propri che stanno conducendo i francesi e quello diplomatico: occorreranno molti militari per controllare il Nord: Togo, Senegal, Niger, Burkina Faso, Nigeria, Benin si sono già impegnati a fornire ognuno alcune centinaia di soldati. Mercoledì ad Abidjan, in seno all’ECOWAS, la decisione formale.

E’ presumibile che la risposta dei miliziani integralisti adesso sarà quella di nascondersi in quell’immenso nulla che è il deserto e da lì sferreranno attacchi sporadici, o operazioni di guerriglia, o attentati.

La vera vittoria contro l’integralismo islamico potrà arrivare solo se le popolazioni del nord verranno realmente integrate a tutti gli effetti in un paese che non ha mai adottato questa politica. Se le popolazioni del nord – touareg in primo luogo – potranno contare su infrastrutture, ospedali, scuole e lavoro non saranno mai quell’humus che il terrorismo ha bisogno per trovare le pieghe nelle quali annidarsi.

A ben vedere la non realizzazione di questa integrazione è stata la causa profonda della guerra che in queste ore sta devastando le pacifiche e accoglienti popolazioni del Mali. Insomma: in questi casi attraverso le operazioni militari non si ottiene la pace, ma solo la fine dei combattimenti. Per la pace bisogna fare anche altro.

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