La guerra minaccia le savane del Mozambico

di claudia

di Enrico Nicosia

Il conflitto di Cabo Delgado mette in pericolo la fauna selvatica, con risvolti inquietanti. La crisi nel nord del Mozambico riaccende la minaccia del bracconaggio e dell’estrazione illegale di minerali. Attività che rischiano di distruggere le savane del Paese. A farne le spese, oltre alla popolazione civile, i grandi mammiferi e l’intero ecosistema. Una storia già vista, con un finale prevedibile, come dimostra il Parco di Gorongosa

“Quando gli elefanti combattono, è l’erba a rimanere schiacciata”. Quando a combattere sono gli umani, le conseguenze le pagano molto spesso gli elefanti. Secondo un recente rapporto di Counter Extremism Project, organizzazione non governativa internazionale nata per fronteggiare la diffusione dei gruppi estremisti, a finanziare l’espansione dei gruppi terroristici di matrice islamica in varie parti dell’Africa sarebbe soprattutto il commercio della fauna selvatica. Pangolini, rinoceronti e soprattutto elefanti sono i prodotti di punta di un mercato nero dal valore di circa 23 miliardi di dollari annui, che contribuisce al declino globale della biodiversità al pari del cambiamento climatico e della distruzione degli habitat. «Il commercio illegale è la linfa che sostiene i gruppi estremisti», ha dichiarato l’autore del rapporto, Sir Robert Ivory, in una recente intervista.

Diamanti e avorio

Nel nord del Mozambico, da quattro anni stretto nella morsa di una guerra dai confini non ben definiti (Africa 5/2021), dove s’intrecciano religione e interessi economici, il gruppo di matrice islamista degli Ahlu Sunnah Wal Jamaah sarebbe fra i più attivi in questo mercato.

Nato nel 2012 e conosciuto localmente anche come al-Shabab,“i Giovani”, il gruppo jihadista-salafita tiene ormai in pugno Cabo Delgado, territorio strategico data la ricchezza di giacimenti di gas e minerali che attirando gli investitori stranieri. Un’escalation di violenze iniziate nel 2017, con attacchi a villaggi e città e brutali uccisioni di civili, costretti ad abbandonare la loro terra. Ad oggi si contano oltre 2.500 morti e quasi un milione di sfollati. A finanziare tutto questo sarebbero criminalità e mercato illegale: traffico di droga, diamanti e risorse naturali gonfiano il portafoglio dell’organizzazione e ne foraggiano l’insurrezione. E avorio. Venduto a oltre 1.000 dollari al chilo, destinato soprattutto al mercato nero cinese, è dal suo traffico illegale che arriverebbe gran parte del denaro necessario per pagare soldati e comprare armi. I jihadisti userebbero i campi e i percorsi a lungo in mano della criminalità organizzata per eludere le autorità e rifornire le piazze del mercato illegale.

Adesso che la loro presa su Cabo Delgado è salda, il pericolo per la fauna selvatica, in particolare per i grandi mammiferi, è più alto che mai. A rischio sono in particolare le Riserve Nazionale del Niassa e le enormi praterie interne del Parque Nacional das Quirimbas. Come in passato, questo conflitto potrebbe avere un costo ecologico devastante, minando gli equilibri di ecosistemi preziosi e delicati come le savane. Ambienti che da oltre settant’anni in Africa vengono stravolti dalle guerre.

Venditori ambulanti attraverso il foro di un proiettile del parabrezza di un autobus lungo la strada principale nord-sud del Mozambico. Foto di John Wessels

Fenomeno continentale

Il pericolo, infatti, non riguarda solo il Mozambico. Somalia, Repubblica Centrafricana, Rd Congo e Sud Sudan sono solo alcuni dei Paesi dell’Africa subsahariana dove bracconaggio e conflitti armati si intrecciano minacciando la biodiversità e mettendo in pericolo preziosi ecosistemi che rischiamo di perdere per sempre.

Uno studio pubblicato nel 2018 sulla rivista Nature ha dimostrato come le aree naturali del continente e la loro popolazione animale fossero tra le grandi vittime dei conflitti del XX secolo. Oltre il 70% delle aree protette africane è stato infatti teatro di numerose guerre. Conflitti interni, combattuti tra eserciti regolari e gruppi ribelli, o regionali, messi in atto da gruppi armati transnazionali, che nella loro scia di distruzione hanno imposto un conto sanguinoso anche alle risorse naturali e trascinato le popolazioni animali sull’orlo della scomparsa. Elefanti, ippopotami, rinoceronti e altri mammiferi hanno ingrossato i bollettini di guerra mentre gli uomini si davano battaglia. Prede di una caccia disperata da parte delle popolazioni affamate o vittime del bracconaggio che ne ricavava prodotti da vendere. Su tutti, il prezioso avorio, l’oro bianco con cui finanziare gli eserciti. Indipendentemente dal tipo e dalla durata del conflitto, la dinamica che minaccia le aree naturali, e in particolare le savane, non cambia: prima spariscono gli erbivori, poi crollano le popolazioni dei grandi e medi predatori, infine viene stravolta la vegetazione.

Un drammatico precedente

È una storia già vista in Mozambico. La rovinosa guerra civile scoppiata all’indomani dell’indipendenza, proclamata nel 1975, spazzò via oltre il 90% dei grandi mammiferi del Parco nazionale di Gorongosa. Sito nel cuore del Mozambico, il parco era diventato rifugio delle milizie della Renamo (Resistenza nazionale mozambicana), movimento di destra che godeva dell’appoggio della vicina Rhodesia (oggi Zimbabwe) e del Sudafrica, nato in opposizione alle forze governative del Frelimo (Fronte di liberazione del Mozambico).

Quando la guerra civile divampò, i combattimenti si estesero anche alla riserva incastonata nell’estremità meridionale della Great Rift Valley e gli scontri causarono una carneficina in tutta la savana. Per tutta la durata del conflitto e negli anni a seguire, gli elefanti e gli altri grandi mammiferi del parco sono stati predati dalle popolazioni locali, sfiancate da anni di guerra, e dall’esercito ribelle per saziare le truppe e comprare armi utili a finanziare l’insurrezione. Anche negli anni della guerra civile l’avorio ha rappresentato la risorsa più ambita per foraggiare il conflitto. L’accordo di pace siglato a Roma nel 1992 non è stato, in questo, immediatamente risolutivo e la Renamo è stata ritenuta responsabile dello sterminio di migliaia di elefanti e rinoceronti nel corso degli anni.

Un cadavere decomposto giace in un campo nel distretto di Gorongosa. – La regione mozambicana di Gorongosa ha assistito a un aumento delle schermaglie e degli scontri sporadici tra l’esercito regolare mozambicano e i militanti del principale partito di opposizione Mozambican National Resistance (RENAMO). (Foto di JOHN WESSELS/AFP)

Ferite indelebili

Il Parco di Gorongosa è riuscito però a risorgere. Dal 2004, il Gorongosa Restoration Project ha permesso un recupero della popolazione animale locale, attraverso reintroduzioni o la protezione della fauna superstite. Eppure qualcosa non torna. In un recente studio pubblicato su Animal Conservation, un gruppo di ricercatori statunitensi, guidato dagli ecologi dell’Università della California, Berkeley, ha provato a rispondere alle tante domande rimaste aperte sulle conseguenze ecologiche della guerra nel Gorongosa. «Non sappiamo se l’ecosistema qui tornerà simile alle condizioni prebelliche o se vedremo un nuovo ambiente», ci racconta Kaitlyn Gaynor, ecologa e prima autrice dello studio. «Pochi posti al mondo hanno visto una simile distruzione della fauna locale e una sua ripresa. Ma se guardiamo bene queste popolazioni, c’è qualcosa di anomalo».

Monitorando la composizione della popolazione faunistica del parco, i ricercatori hanno scoperto che i grandi erbivori dominatori della savana prima della guerra, come elefanti, zebre e gnu, erano diventati molto più rari. E ancora più rari i grandi predatori. La savana è stata progressivamente dominata da babbuini, facoceri e antilopi. Sembrerebbe essersi disegnata quindi una savana alternativa, conseguenza di una catena di eventi che ha la sua origine proprio nella guerra. «Durante il conflitto, la scomparsa degli erbivori, vittime del bracconaggio e della caccia incontrollata, ha causato il declino dei grandi predatori, privati delle loro fonti di cibo, e con il tempo ha provocato effetti anche sulla vegetazione, con profondi cambiamenti alla copertura arborea e la diffusione di piante invasive», ci spiega Gaynor, che, pur riconoscendo gli enormi sforzi per far risorgere il Gorongosa, avverte: «Ovunque nei progetti di recupero dovremo confrontarci con il fatto che tornare alle condizioni prebelliche potrebbe essere impossibile».

L’instabilità nelle regioni settentrionali del Mozambico ha sottratto uomini e risorse alla protezione delle riserve naturali. I bracconieri hanno ripreso vigore. E i cercatori d’oro illegali che setacciavano la sabbia lungo il fiume Nhaduwe oggi riescono con una certa facilità a introdursi nel vicino dal Parco Gorongosa. «Adesso che la guerra è tornata nel nord del Paese, il rischio di compromettere altre savane è concreto».

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