Intervista al corrispondente della Rai a Nairobi Enzo Nucci
L’ultimo suo servizio importante in ordine di tempo è quello sul martoriato Sud Sudan (si chiama “Un mondo a parte” e andrà in onda prossimamente per gli Speciali del Tg1: da non perdere); è in occasione di questo viaggio che ha anche scritto il reportage in uscita sulla prossima edizione di Africa. Ed è in Sudan – ma quella volta sui Monti Nuba, regione poi rimasta al Sudan “del nord” dopo l’indipendenza del Sud nel 2011 – che girò il suo reportage inaugurale dopo il suo arrivo in Kenya.
Parliamo di Enzo Nucci, da otto anni corrispondente Rai da Nairobi, la prima sede Rai nell’Africa subsahariana. Otto anni: un record, di questi tempi, se si considera che altri uffici di corrispondenza ”periferici”, extraeuropei e perfino europei, sono stati nel frattempo soppressi: New Delhi, Beirut, Buenos Aires (poi compensata dall’apertura di Rio de Janeiro), Istanbul, Madrid. E chi si ricorda ancora di Rai Med, un canale intero dedicato al Mediterraneo, vittima della spending review? Rimangono (e ci mancherebbe che chiudessero!) Gerusalemme, Il Cairo, Pechino, oltre alle canoniche Berlino, Londra, Parigi, Bruxelles, Mosca e New York.
L’apertura dell’ufficio africano della Rai, lo ricordiamo, è stata l’esito di un’efficace campagna che si svolse nel 2006. «Come utenti del servizio pubblico – per il quale, come tutti i cittadini, paghiamo il canone – crediamo sia nostro diritto esigere un’informazione aperta al mondo, di qualità e in un orario accessibile a tutti. È troppo chiedere “più notizie e meno gossip”?», si leggeva in un editoriale comune delle testate della Federazione stampa missionaria (Fesmi), le quali, assieme alla Tavola della Pace e contando sull’adesione del sindacato dei giornalisti Usigrai, lanciarono appunto una mobilitazione, fatta di cartoline da inviare e di interlocuzione con la dirigenza Rai.
Il prescelto fu Nucci. Perché proprio lui? «Con l’esperienza che mi ritrovavo e gli interessi che avevo mostrato di avere, non essendo inoltre un tipo particolarmente… rompiscatole, la scelta cadde su di me quasi naturalmente», risponde con misura il nostro uomo a Nairobi. Enzo Nucci, napoletano classe 1957, era in quel momento inviato del Tg3: ex Iugoslavia, Afghanistan, Kurdistan… e anche Africa, per esempio in Zimbabwe nel momento in cui Mugabe – con la riforma agraria del 2000 – dava inizio alla caccia all’inglese. La passione giornalistica lo ha abitato fin dall’adolescenza, quando vergava i suoi primi pezzi per la stampa del movimento studentesco prima di passare a collaborare con giornali locali e tivù private che, negli anni in cui frequentava Giurisprudenza, erano in piena effervescenza. Quindi cronista “di nera” («all’epoca la nera esigeva una vera e propria disciplina») e nella redazione del quotidiano Il Diario di Massimo Caprara, a Caserta, e poi collaborazioni con testate come Il Corriere dell’Umbria e Il Mattino (quello partenopeo) fini all’approdo in Rai, nel 1988, cominciando dal Tgr Lazio: dapprima la nera e transitando per la cronaca nazionale e gli esteri prima di diventare inviato di guerra.
«Puoi esserti preparato, avere studiato i meccanismi geopolitici dello sfruttamento e dell’esclusione (io faccio parte di quella generazione che si era formata sul terzomondismo)… ma quando arrivi qui – confida Nucci ricordando il suo sbarco a Nairobi nel maggio 2007 – salta tutto. Devi inforcare altri occhiali, dotarti di altri strumenti, diversi da quelli occidentali. Ricordo le conversazioni con il missionario comboniano padre Kizito Sesana, sui Monti Nuba: “Ma che guerra è mai questa?”, gli domandavo. Tutte le mie idee sui conflitti “ideologici” si stavano sgretolando in pochi giorni».
Un trasferimento “punitivo”, quello in Kenya? «Certo molti colleghi quando pensano a uffici di corrispondenza sognano Parigi, Londra, New York. Io ci andrò… casomai da pensionato! A me la Rai ha dato una grande opportunità: quella di vivere l’Africa ancora nel pieno vigore delle mie forze. È un continente che a tanti colleghi fa paura, nel senso che non riescono a penetrarlo, a mettersi sulla sua lunghezza d’onda. In effetti è una realtà complessa, e non solo perché è composta da 54 Stati e migliaia di etnie. Dall’Italia si preferisce percepirla come un tutto indistinto, invece è la complessità che ne fa il fascino. Ricordo il calzante esempio che un giorno mi fece un intellettuale sudanese. L’Africa, diceva, è come una di quelle mappe anatomiche “a strati” dei bei libri di medicina di una volta: apri, come una finestra, il livello dell’epidermide e ti appare quello sottocutaneo; apri quest’ultimo e scopri il sistema muscolare sottostante, e così via. Quando ti sembra di avere cominciato a capire qualcosa, c’è un’altra realtà soggiacente più profonda».
Un conto è fare l’inviato. Pochi giorni, o qualche settimana, e salvo imprevisti torni a casa. Lasciare l’Italia e traslocare in Africa, anche se in una delle città più vivaci e vitali del continente, è però una scelta di vita, che tra l’altro coinvolge la famiglia. Anche qui Nucci non fa l’eroe. La scelta è stata condivisa con la moglie (e se poi hanno preso strade diverse non è stata colpa dell’Africa, tiene a precisare il giornalista) e poi… corrispondeva a un coronamento umano-professionale della sua carriera, intesa nel senso alto del termine. Le difficoltà non sono mancate, soprattutto quelle tipiche dei primi tempi, quando cominci da zero in un ambiente nuovo, con le sue burocrazie e i suoi non-detti. Dove anche registrare un marchio può essere complesso: “Rai” in Kenya è un nome di persona, di origine indiana, molto comune: anche un dettaglio come questo può assorbire una dose specifica di energie…
Superata la fase iniziale, le complicazioni quotidiane «sono quelle normali del giornalista che fa il proprio lavoro, come in qualsiasi altra parte del mondo, anche se qui ci sono delle peculiarità locali». Ma com’è possibile “coprire” l’intera Africa nera – è questa la sua mission – con una sola, minuscola redazione, basata in una sola città? Qui spicca, anche se in forma nascosta, una qualità indispensabile del buon corrispondente: costruirsi una rete di informatori fidati, in questo caso sparsi un po’ per tutto il subcontinente. C’è inoltre la possibilità di viaggiare per la realizzazione di servizi. Perché il compito di Enzo Nucci non è tanto fornire notizie – a quello normalmente pensano le agenzie d’informazione – bensì approfondimenti e “speciali”. Come quello su ebola per Tv7, andato in onda nei primi giorni di ottobre dello scorso anno e che gli valse una bella esperienza, non solo quella umana dei tremendi giorni a Monrovia ma anche quella del rientro a Roma per il montaggio del servizio: Nucci a un certo punto si rende conto che i colleghi lo accolgono calorosamente, sì, ma tenendosi tutti a debita distanza, e soprattutto senza mai stringergli la mano…
Abbiamo detto di una redazione lillipuziana, nell’ufficio intitolato a Ilaria Alpi, Miran Hrovatin e Marcello Palmisano, la giornalista e i cameraman uccisi in Somalia nel 1994-95. Gli altri componenti dello staff sono due keniani: l’operatore e tecnico, Mark Mbau Muthee, e Mary Njoroge, segretaria e addetta alle pubbliche relazioni.
Ma qual è, in poche parole, l’Africa di Enzo Nucci? «Per prima cosa, io mi vedo qui a tempo indeterminato, non ho nessuna fretta di tornare in Italia. Questo è un continente pieno di energia, con una gioventù allo stato puro, dove si respira voglia di cambiamento. Constato in loro, tra l’altro, una straordinaria capacità di usare le nuove tecnologie; ricordo un bellissimo convegno di hacker africani ventenni, con esponenti di banche in giacca e cravatta che mettevano gli occhi su quali potessero essere i migliori da assumere. E poi ci sono personalità eccezionali… Prendete Boniface Mwangi: è un fotografo keniano poco più che trentenne, che già da tempo è celebrato a livello internazionale; ebbene, adesso ha quasi appeso la macchina al chiodo per diventare un attivista in prima linea, sente l’urgenza di dare una mano al proprio Paese spingendo per una trasformazione politica e sociale… Questa è Africa».
a cura di Pier Maria Mazzola