La moda keniana brilla tra sostenibilità e creatività

di claudia

di Claudia Volonterio

Innovazione, creatività e sostenibilità: sono queste alcune delle caratteristiche proprie della moda africana, ora più che mai sull’onda della crescita. Tra i designer emergenti brillano i talenti chi riescono a combinare tessuti tradizionali con trame contemporanee, sperimentando tecniche a difesa dell’ambiente. Tra i Paesi più coinvolti spicca il Kenya, da cui provengono tanti stilisti e creativi ormai affermati sulla scena internazionale. Ecco alcuni dei nomi che stanno rafforzando e facendo brillare nel continente e all’estero la moda keniana.

Tra le stelle della moda keniana brilla sicuramente KikoRomeo, “mela di Adamo” in kiswahili. Il marchio, fondato nel 1996 e guidato da Iona McCreath non passa inosservato e ha il pregio di riuscire a trascendere i confini del fashion aprendosi anche all’arte e alla musica. Sostenibile, molti pezzi sono decorati con pittura a mano, mescolando tradizione e contemporaneità. Nella loro collezione SS23 “ILLE”, per esempio, McCreath ha usato il colore per creare un ritratto surrealista.

Nel panorama della moda keniana non ci si può dimenticare di El Afrique, un marchio di borse e vestiti a stampa in grado di coniugare arte e moda, citato da Nairobi.news, che segnala anche African Fabrics and Designs Kenya. Fondato da Catherine Mayeye, è diventato sinonimo dell’arte e dell’artigianato dei tessuti couture nelle stampe africane e nei disegni di Ankara. Ogni abito nasce per celebrare i patrimonio culturale del Kenya e del continente.

Tra i brand del Paese che più si distinguono per sostenibilità, troviamo invece Ketush, della designer keniota Katungulu Mwendwa, che dopo aver studiato a Londra è tornata nel suo Paese natale. Intervistata da Vogue, la stilista sottolinea che il suo concetto di sostenibilità ha inizio dal concepire abiti non pensati per una moda “veloce”, ma che possa durare nel tempo, oltre al concetto di stagione. I suoi abiti sono realizzati soprattutto in cotone e seta che si procura da fornitori locali.

“Nel corso degli anni – racconta la stilista a ethicalfashioninitiative.org – ho iniziato a ricercare e trovare modi per implementare materiali sostenibili nuovi e disponibili nelle mie collezioni. Le uniche cose che sono rimaste costanti nel corso degli anni sono state la consapevolezza e l’intento che circonda le persone nella mia attività: sono cruciali. Mi è piaciuto lavorare con materiali tessuti a mano realizzati da artigiani, ad esempio, e poter interagire con questi artigiani a livello personale. L’evoluzione del nostro modello di business è stata un’avventura e un’esperienza stimolante sia per me che per gli artigiani con cui lavoriamo. Ho imparato che alcune cose richiedono più tempo per essere realizzate e richiedono una dedizione extra”.

Il sito segnala il concetto di sostenibilità del brand Hamaji. Hamaji, che significa “nomade” in swahili, è il frutto del lavoro di un gruppo di designer che lavora preservando le antiche tradizioni tessili e l’artigianato nomade, valorizzando l’artigianato del continente. Hamaji è un marchio sostenibile a partire dal suo inizio, basandosi sul riciclo inizialmente e avendo optato in un secondo momento su tessuti e fibre organiche e naturali. Hamaji si definisce un marchio di moda “lenta”, in antitesi con il noto e discutibile “fast fashion”.

Foto di apertura: KikoRomeo

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