Infermiera per un anno e mezzo nei reparti Covid, attrice e cantante prossima a salire sul palco del Festival Mi Ami di Milano. Conosciamo meglio Paola Gioia Kaze Formisano, giovane talento di origini burundesi, trasferitasi con la sua famiglia a Terracina, in provincia di Latina
Di Mariarosa Porcelli – NuoveRadici.world
Il 28 maggio sarà sul palco del festival Mi Ami a Milano con il suo ultimo singolo Stormi, uscito il 14 aprile per la Island Records. Dopo un anno e mezzo da infermiera nei reparti Covid e una disavventura a X Factor, «finalmente tutto sta andando per il verso giusto», ci racconta Paola Gioia Kaze Formisano. Grazie anche alla partecipazione nel 2021 alla prima produzione italiana di Amazon Prime, Anni da cane.
Con un nodo in gola ci ha parlato della sua Africa, dove è cresciuta fino all’età di 11 anni prima di trasferirsi a Terracina, in provincia di Latina. E dei suoi riferimenti musicali: oltre all’r&b ha da sempre un debole per la disco anni Settanta e un santino di Beyoncé sopra il letto (ma conosce a memoria le canzoni di Gigi D’Alessio, grazie alla sua metà napoletana da parte di padre).
Il Burundi di Kaze
«Il Burundi è una terra bellissima e poverissima», esordisce Kaze riannodando il nastro dei suoi 26 anni. Kaze è il suo terzo nome, che in Burundi, il Paese di sua madre, si usa come una sorta di cognome personale. Anche se per questioni logistiche è nata in Kenya, dove «le strutture sanitarie erano più sicure», dichiara felicemente il suo orgoglio burundese.
“È stato devastante lasciare la famiglia e gli amici. Il Burundi in epoca coloniale era un unico Stato con il Ruanda. Ha una storia molto bella ma poi è stato massacrato dalla politica sbagliata e dalla guerra”, ci spiega.
Con sua madre hanno sempre parlato in italiano e in francese, ma capisce il kirundi, la lingua burundese, che pur non essendo particolarmente melodica non esclude di usare per le sue canzoni. «Riesco a sapere se mia madre è arrabbiata dalla lingua che usa. Quando parla in francese c’è qualcosa che non va, ma quando usa il kirundi significa che ci sono guai in vista».
L’Italia non è il Paese dei balocchi
I suo genitori si sono conosciuti in Burundi per il lavoro del padre. «Esportava vestiti di seconda mano in Africa, quelle che a Napoli si chiamano “le pezze”, un business che andava forte negli anni Novanta. La storia con mia madre è stata inizialmente molto contrastata perché lui era più grande di 25 anni e sono stati ostacolati sia da parte italiana sia da parte burundese» ci racconta. Quando poi la famiglia si è spostata in Italia non sono state tutte rose e fiori, come aveva sperato Kaze. «Mi avevano venduto l’Italia come il Paese dei balocchi, invece mi sono scontrata con la realtà».
Ricorda l’impatto traumatico di entrare in una classe dove nessun altro era di origine straniera e di venire a contatto con la mentalità di provincia infarcita di pregiudizi.
«Anche avere i capelli diversi mi faceva sentire un’aliena. Di episodi di razzismo ne ho vissuti tanti però me li sono fatti scivolare addosso. Ma non perché pensi che non sia importante. Io sono accomodante per carattere e credo che ognuno debba decidere dove mettere i propri paletti. Tra l’altro il razzismo a volte può essere talmente sottile che si fa fatica a circoscriverlo».
L’esperienza in ospedale per l’emergenza Covid-19
Poi è arrivata la laurea in Infermieristica, «uno dei percorsi più difficili della mia vita» sottolinea Kaze. Un po’ perché doveva lavorare per mantenersi gli studi ma anche perché in ospedale le è capitato di dover fare il doppio per dimostrare le sue capacità. «Dopo l’università ho cominciato a lavorare a Milano, dove ormai vivo da tre anni. I primi sei mesi in una Rsa e poi un anno e mezzo al Pronto soccorso dell’Humanitas. Il mio primo giorno senza affiancamento è scoppiata la pandemia, praticamente uno shock. Durante il primo periodo vedevamo pazienti morire tutti i giorni. Sinceramente, però, la cosa che mi ha straziato ancora più della morte è stata vedere il dolore e la solitudine. È stato terribile non potere stringere direttamente le mani delle persone che soffrivano senza mettere i guanti».
La musica era il piano A di Kaze
La musica nella vita di Kaze c’è sempre stata. Anzi era il suo piano A perché in Burundi è un modo per comunicare, un momento di condivisione e felicità. Nella sua famiglia tutti suonavano o cantavano.
“Mia madre ti guarda male se sei stonata”, dice Kaze ridendo. “Ma aveva bisogno del paracadute degli studi e la carriera da cantante è passata in secondo piano” aggiunge.
«Tutto è cambiato dopo un provino per X Factor andato male. Da quel momento c’è stata una svolta che mi ha fatto cambiare atteggiamento ed è andato tutto liscio. Nel frattempo facevo anche provini da attrice, visto che per tanti anni ho lavorato in teatro, e mi hanno presa per il film Anni da cane. Durante le riprese ho cominciato a scrivere canzoni e sono incappata negli incontri giusti, che poi mi hanno portato al management della Island Records». Finora Kaze ha pubblicato quattro singoli (tra cui Come fa, in collaborazione con Ditonellapiaga) che confluiranno presto in un ep. Ed è appena stata scelta per Up Next Italia, un programma di Apple Music che promuove i talenti emergenti. «Sono molto contenta», dice con la voce soddisfatta. «Sto scrivendo tanto e mi sto godendo pienamente questo momento».
Foto: Sara Sabatino