di Federico Monica – foto di Nick Hannes / Panos Pictures
Cairo addio. Ecco le immagini del nuovo cuore – amministrativo, economico, politico – della nazione egiziana La metropoli del Cairo, una delle più popolose al mondo, è ormai al collasso. Così il presidente al-Sisi ha ordinato la costruzione di una nuova capitale, ancora senza nome. Il sontuoso progetto da oltre 50 miliardi di dollari dovrebbe concludersi entro le prossime elezioni presidenziali. Ma i grattacieli e i monumenti che stanno sorgendo proiettano ombre sinistre
Lungo la modernissima autostrada a dodici corsie che dal Cairo attraversa il deserto verso Suez lo scheletro di un altissimo grattacielo prende forma come un miraggio. Scrutando meglio l’orizzonte compaiono lentamente palazzi, edifici imponenti, cupole, tralicci e viadotti.
Non si tratta di un’illusione creata dal caldo: quella che fino a meno di dieci anni fa era solo un’immensa distesa di sabbia è oggi uno sterminato e febbrile cantiere che, secondo i sogni del leader egiziano Abdel Fattah al-Sisi, darà forma alla nuova capitale.
Il Cairo è una delle città più popolose al mondo, con oltre venti milioni di abitanti che vivono in un’area metropolitana distribuita sulle due rive del Nilo. Una città che pare sempre in procinto di collassare sotto il suo stesso peso, soffocata dall’inquinamento, con infrastrutture insufficienti e servizi spesso instabili e inadeguati.
Da qui l’idea di abbandonare la millenaria capitale al suo destino per crearne una nuova di zecca 50 chilometri più a est, un centro monumentale distribuito su 700 chilometri quadrati e in grado di ospitare ministeri e uffici governativi oltre che, nelle più rosee previsioni, sette milioni di abitanti.
Una storia che parte da lontano
La nuova capitale, che ancora non avrebbe un nome ufficiale, è solo l’ultimo tassello di una serie di progetti iniziati negli anni Settanta all’epoca di Sadat per decongestionare la metropoli cairota. Negli ultimi decenni sono sorte così numerose città satellite predisposte per ospitare centinaia di migliaia di abitanti o pianificate come aree di sviluppo industriale, come la “Città del decimo Ramadan”, la “Città del 6 ottobre” e la più recente “New Cairo”, esclusiva città voluta da Mubarak nei primi anni Duemila.
Fu proprio Mubarak a delineare per primo l’idea di una nuova capitale, intuizione che l’attuale leader al-Sisi ha riesumato non solo come progetto strategico ma addirittura come simbolo di un nuovo Egitto efficiente, moderno e attrattivo.
Il piano della città mescola quindi architetture all’avanguardia, richiami all’età classica e un simbolismo riferito al glorioso passato dei faraoni: archi di trionfo, colonnati, minareti e immense piazze alberate che disegnano simbologie tipicamente egizie fanno da cornice agli impressionanti edifici monumentali rivestiti in marmo chiaro.
Il cuore pulsante della nuova capitale sarà infine il cosiddetto Central Business District, una piccola Manhattan affollata di grattacieli sovrastata dalla New Iconic Tower, una torre cilindrica in vetro e acciaio di 390 metri, che diventerà la più alta del continente africano.
Per la sua nuova città, probabilmente la più grande mai realizzata dal nulla, al-Sisi non ha badato a spese: nel 2015, anno in cui sono iniziati i lavori, l’importo previsto era di 45 miliardi di dollari, cifra destinata ad aumentare in maniera considerevole, fino a superare i 50 miliardi di dollari, e che è stata messa a disposizione principalmente attraverso finanziamenti di Pechino, il partner principale del Paese.
Sostenibile?!
La retorica, quando si costruiscono nuove città, è sempre uguale a sé stessa: i concetti di sostenibilità, smart cities e tecnologie green pervadono ogni discorso, le immagini dei render ricche di alberi, giochi d’acqua, vetri riflettenti e persone eleganti offrono una percezione di modernità, serenità e benessere diffuso.
Dal sito ufficiale dell’Acud, la compagnia statale che gestisce il progetto, controllata per il 51% dall’esercito, traspare però un’idea di smart city angosciosa e tutt’altro che rassicurante, con una centrale operativa in grado di monitorare, con sensori, droni e migliaia di telecamere, qualsiasi aspetto della nuova città, dalla produzione di energia al traffico e alla qualità dell’aria, ma non solo. I moderni sistemi di intelligenza artificiale e riconoscimento, per esempio, saranno utilizzati per segnalare la presenza di persone sospette, l’accesso di individui non autorizzati o il verificarsi di assembramenti.
Altrettanto poco convincente è il racconto di una città green e sostenibile, reiterato dalle autorità egiziane anche alla recente Cop-27 di Sharm el-Sheikh: è vero che gran parte del fabbisogno energetico futuro sarà coperto da impianti fotovoltaici e che l’attuale Cairo è una delle città più inquinate al mondo, tuttavia l’impatto che la costruzione di una nuova metropoli ha sull’ambiente è incalcolabile. a partire dallo sterminato consumo di suolo e passando per l’uso di risorse ed energia.
Come se non bastasse, la nuova capitale, come molte città di fondazione, sembra essere pensata per mettere le auto al centro: enormi superstrade a sei o otto corsie circondano i quartieri e collegano i centri nevralgici, mentre il progetto prevede la realizzazione di migliaia di chilometri di nuove strade.
L’ombra della crisi
Il volto sicuro del presidente campeggia su decine di gigantografie che coprono i cantieri accompagnato da slogan altisonanti. “Una nuova capitale per tutti gli egiziani”, riporta una frase, ma basta guardarsi attorno per capire che difficilmente sarà così. Pochissimi potranno permettersi di comprare i nuovi ed esclusivi appartamenti che oggi vengono proposti a cifre poco inferiori ai centomila dollari in un Paese in cui un maestro elementare guadagna circa cento euro al mese.
Certamente la presenza di ministeri, uffici governativi e sedi di imprese private costringerà molti dipendenti e funzionari a trasferirsi nelle nuove aree residenziali, ma solo per una minoranza di loro queste case saranno accessibili, gli altri perderanno il lavoro oppure saranno costretti a lunghissimi e costosi spostamenti quotidiani dal Cairo, almeno finché non saranno pianificati quartieri a basso costo.
Un altro tema delicato è quello del tempo: trasferire uffici, servizi e personale è un’operazione delicata e richiede tempi lunghi; ciò significa che per lungo tempo le aree residenziali rischieranno di restare semivuote, rendendole meno appetibili e mettendo a rischio la sopravvivenza di attività commerciali e servizi.
Quello del tempo è un fattore tutt’altro che trascurabile, anche politicamente: nel 2024 si terranno le elezioni presidenziali a cui al-Sisi, grazie a una provvidenziale modifica della Costituzione, potrà candidarsi per un terzo mandato; nonostante il controllo ferreo sulle opposizioni e sui dissidenti, il malcontento per la crisi economica è crescente e rischia di diventare esplosivo.
Non a caso i lavori proseguono febbrilmente e i cantieri brulicano di persone: l’inaugurazione dovrà anticipare l’appuntamento elettorale e far dimenticare le polemiche. Con il carovita che galoppa e un debito pubblico quadruplicato negli ultimi 15 anni, infatti, la nuova città potrebbe trasformarsi da fiore all’occhiello dell’uomo forte del Cairo a fallimento in grado di comprometterne la permanenza al potere.
Il volto nascosto della smart city
Un gruppo di ragazzi seduto sotto i piloni in cemento della nuova monorotaia aspetta un possibile ingaggio a giornata, altri dietro di loro barcollano trasportando sulle spalle pesanti secchi ricolmi di cemento; poco distante, un operaio di mezza età prega su un tappetino logoro steso a fianco di un caterpillar dopo aver finito il suo turno.
È il dietro le quinte della smart city, la parte che solitamente non si vede ma che sta dietro a ogni grande opera della storia umana: anziani con il volto scavato dalle rughe e dalla fatica o giovanissimi poco più che bambini che, coperti di polvere, si affannano a svolgere i lavori più umili, trasportando mattoni, impastando cemento o spalando sabbia.
I bordi delle strade, i ponteggi vertiginosi e i cantieri delle grandi piazze brulicano di migliaia di persone provenienti dai quartieri poveri del Cairo o emigrati dalle aree rurali, altri arrivano da più lontano, dal Sud Sudan o dall’Etiopia. Vivono nascosti all’interno di compound nel deserto o di misere baracche, nessuno li vede eppure è grazie alle loro mani e talvolta al loro sangue che la nuova magnificente capitale prende forma. Una storia che si ripete, dai tempi delle piramidi ai giorni nostri.
Le loro frasi a mezza voce, ma soprattutto gli sguardi disincantati, lasciano capire che nonostante la retorica del regime sono ben consapevoli che le eleganti palazzine e le piazze scenografiche che prendono forma tra la sabbia non saranno mai raggiungibili per loro.
Niente di nuovo sotto il sole
Il corso degli eventi sembra ripetersi ciclicamente in questo angolo d’Africa con una storia millenaria: lo stesso Cairo infatti fu costruito dal nulla per diventare una nuova capitale. Nell’anno 969, dopo aver conquistato l’Egitto per conto dell’impero Fatimide, il generale arabo di origine siciliana Jawhar al-Siqilli decise di fondare una nuova città poco a nord dell’allora capitale Fustat.
Poco più di mille anni dopo, la storia si riavvolge. Fustat fu piano piano assorbita dalla nuova città diventandone un quartiere ma anche un’area di discariche. L’attuale Cairo avrà lo stesso destino?
Difficile pensarlo, ma la storia dell’Egitto, si sa, è millenaria ed è costellata di progetti enigmatici, immensi, esagerati. Faraonici, appunto.