di Tommaso Meo
Dolce, ricca di proprietà, di coltivazione relativamente facile. Un frutto venuto dall’America Latina che in Africa ha trovato nuova casa. Adattissima. E il cui consumo è anche indice di un certo benessere
La papaia è uno dei frutti esotici più coltivati e consumati al mondo, ma che forse conosciamo ancora poco. Non nasce nelle vaschette di plastica dei nostri supermercati, bensì cresce su caratteristiche piante monofusto alte fra i tre e i dieci metri. Dalla buccia verde e gialla e dalla polpa arancione, questa specie di melone tropicale pesa in media mezzo chilogrammo ma può arrivare fino a nove chili.
Origine e produzione
Originaria del Messico meridionale, la papaia è stata introdotta in Africa e in India dai coloni europei nei secoli passati. Storicamente era fatta fermentare per produrre una bevanda alcolica, mentre oggi, grazie al suo sapore dolce, quasi un misto tra diversi frutti tropicali come mango, ananas e banana, si usa in diverse preparazioni ed è un ingrediente pregiato di dolci, marmellate, budini e gelati. La papaia è poi famosa anche per le sue proprietà benefiche, essendo ricca di vitamine, antiossidanti, minerali e acidi della frutta.
Le piante di papaia crescono bene in un clima tropicale, con elevata umidità, e hanno bisogno continuo d’acqua. Dal momento in cui viene piantato il seme, occorre attendere almeno nove mesi per il primo raccolto, ma poi gli alberi daranno frutti tutto l’anno, maturando in 4-5 giorni. Anche se la produzione della papaia non è troppo difficile ed è a grande valore aggiunto, gli agricoltori devono bilanciare prezzi spesso bassi con i costi che comunque ci sono. Per incidere sul mercato è importante l’estetica, e avere frutti di un peso adeguato, e senza imperfezioni, è l’ideale, ma non sempre è possibile. Solitamente i frutti troppo maturi o di seconda scelta vengono inviati alle fabbriche di spremitura o venduti sul mercato ambulante locale.

La papaina
La papaia non viene però coltivata solo per essere consumata fresca o processata e usata nella preparazione di altri alimenti. Quando viene incisa, la buccia del frutto non ancora maturo lascia fuoriuscire un liquido bianco che coagula velocemente. Un frutto di dimensioni medie fornisce circa 100 grammi di lattice. Questo contiene la papaina, un enzima le cui proprietà sono simili a quelle della pepsina e della tripsina. L’azione digestiva e dissolvente delle proteine che caratterizzano questo prodotto della papaia è utilizzata a scopo terapeutico e nella cosmetica, oltre che nell’industria del cuoio, della seta e nella produzione della birra.
I numeri
Oggi si producono nel mondo 13,82 milioni di tonnellate di papaia, ma si prevede che la produzione globale aumenterà dell’1,9% ogni anno, fino a 18 milioni di tonnellate nel 2032. L’India ne è attualmente il maggior produttore e il Messico il più grande esportatore. Gli Stati Uniti importano più papaia di ogni altro Paese, con l’Unione Europea in seconda posizione. Secondo la Fao, l’Africa nel 2022 ne ha esportate 8.420 tonnellate, tra cui la Costa d’Avorio 267 tonnellate e il Ghana 595. La quota delle esportazioni globali è in generale bassa in rapporto alla produzione: circa il 2,5%. Ostacoli importanti a un’espansione significativa del commercio internazionale sono l’elevata deperibilità del frutto e la sua fragilità.
Tuttavia, le innovazioni nella catena del freddo, nel confezionamento e nelle tecnologie di trasporto promettono di facilitare una più ampia distribuzione in futuro. Nel frattempo, l’aumento della produzione previsto è principalmente guidato dalla domanda interna grazie alla crescita della popolazione e del reddito. Si dice che la papaia prosperi quando l’economia va bene: mangiarla non è infatti quasi mai un bisogno, ma una scelta soprattutto per la propria salute. Chi ne conosce e apprezza le proprietà salutari è disposto a spendere per questo frutto, tra le altre qualità eccellente per il sistema digestivo e ricco di vitamina C.

In Africa
La crescita della domanda mondiale di papaia riguarda l’Africa perché ha spinto ad estendere le piantagioni in particolare nel bacino del fiume Congo, nella regione equatoriale del continente. Se la Repubblica del Congo (Brazzaville) è il secondo maggior produttore africano dopo la Nigeria, dal 2015 la coltivazione della papaia è ripresa anche nella vicina Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Abbandonata negli ultimi anni dai contadini, scoraggiati dal virus del mosaico che ha decimato le piantagioni, questa coltura vive ora una seconda vita tra Kinshasa e il territorio di Beni, in Nord Kivu, nell’est del Paese, e sotto la spinta del governo. Recentemente, infatti, sono state introdotte nuove varietà resistenti che stanno dando buoni risultati e contribuendo a migliorare i redditi dei produttori locali, trascinando molti fuori dalla povertà. La costante insicurezza nella regione, dovuta ai gruppi armati, è però una grossa incognita che rischia di mettere un nuovo freno alla produzione.

Le coltivazioni di papaia si estendono lungo tutta la fascia tropicale dell’Africa dal Ghana al Benin fino al Mozambico a est, ma la produzione, soprattutto qui, sta subendo l’attacco anche della cocciniglia della papaia (paracoccus marginatus), un parassita che ha causato molti danni tra i piccoli agricoltori da quando ha invaso per la prima volta la parte orientale del continente tra il 2015 e il 2020.
La ricerca non è rimasta a guardare e il Centro internazionale per l’agricoltura e le scienze biologiche (Cabi) sta lavorando in collaborazione con le istituzioni nazionali per aiutare gli agricoltori di Sud Sudan, Kenya e Uganda a reagire a questa sfida. Oltre a formazione e prevenzione, la prospettiva è di introdurre un nemico naturale per combattere la cocciniglia della papaia: una vespa conosciuta come acerophagus papayae. L’obiettivo finale è offrire un’alternativa ai pesticidi chimici, più dannosi da maneggiare e con un maggiore impatto sull’ambiente, per controllare la cocciniglia della papaia attraverso un piano di gestione integrata dei parassiti. Da questa vittoria passa la crescita della produzione nel continente.
Questo articolo è uscito sul numero 5/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.