di Pierre Yambuya e Gianni Bauce
Oltre mille ranger, ventidue aree protette, venti milioni di ettari di terra strappati all’incuria e al bracconaggio. Sono i numeri impressionanti di African Parks, organizzazione non profit che riabilita e gestisce parchi nazionali e riserve naturali in collaborazione con governi e comunità locali
Animali decimati, strade inghiottite dalla vegetazione, strutture fatiscenti, sorveglianza inesistente. Troppe aree protette dell’Africa sono state abbandonate negli ultimi cinquant’anni a un degrado inesorabile: spesso per mancanza di fondi, talvolta per l’incapacità, la corruzione e l’inerzia di quanti dovevano tutelare lo straordinario patrimonio naturalistico del continente.
A partire dagli anni Settanta, decine di parchi e di riserve, un tempo popolate dalla fauna, si sono avviate a un declino tragico, trasformandosi in territori sterili e improduttivi, saccheggiati e devastati da bracconieri e profittatori. Oggi la furia devastatrice sembra essersi fermata, quanto meno è fortemente rallentata. Notizie di segno opposto fanno ben sperare in un’inversione di tendenza. Dall’inizio del nuovo secolo, infatti, si assiste alla rinascita e al rilancio di numerose e importanti aree di tutela ambientale. Protagonista assoluta della svolta è l’organizzazione senza scopo di lucro African Parks, fondata nel 2000 in Sudafrica per iniziativa di un gruppo di autorevoli esponenti del mondo della conservazione di origine sudafricana o zimbabwana (Michael Eustace, Peter Fearnhead, Paul Fentener van Vlissingen, Anthony Hall-Martin, Mavuso Msimang) che in pochi anni sono stati capaci di attrarre attenzioni e investimenti (presidente dell’organizzazione è il principe Harry, duca di Sussex) per la missione di salvare paradisi naturali minacciati dall’uomo.
Dal Malawi al Ciad
L’obiettivo di African Parks è gestire, in collaborazione con le autorità e le comunità locali, parchi nazionali e aree di conservazione cadute in disgrazia e dimenticate dal turismo internazionale: un traguardo estremamente ambizioso, se si pensa a quanto difficile sia vincere la resistenza di molti governi africani alla penetrazione di organizzazioni private nell’amministrazione delle loro risorse.
Le prime aree protette gestite da questa ong – che si sostiene con donazioni private e finanziamenti pubblici – sono state, nel 2003, la riserva faunistica di Majete (Malawi) e il Parco nazionale di Liuwa Plain (Zambia). I successi ottenuti in questi territori sono stati il miglior viatico per allargare il raggio di azione.
Oggi, a vent’anni dall’inizio delle attività, African Parks gestisce 22 parchi nazionali e riserve naturali in 12 Paesi africani, per una superficie di oltre 20 milioni di ettari di savana, foresta, deserto e oceano. Tra le aree protette finite sotto la sua gestione si segnalano parchi nazionali e riserve naturali di enorme valore ambientale ma non ancora sufficientemente valorizzate, come il Parco del Pendjari in Benin, la riserva di Chinko in Repubblica Centrafricana, il Parco di Zakouma in Ciad, il Parco di Garamba nella Repubblica Democratica del Congo, il Parco di Odzala-Kokoua nella Repubblica del Congo, il Parco dell’Akagera in Rwanda e la zona umida di Bangweulu in Zambia. «Il nostro obiettivo è gestire 30 parchi entro il 2030», fanno sapere dal quartier generale di Johannesburg.
Indipendenti e vincenti
Ai governi africani l’organizzazione pone sempre due condizioni imprescindibili per accettare il mandato: la completa autonomia di gestione delle aree da rilanciare e la completa autonomia nell’amministrazione finanziaria. La sua politica di conservazione si fonda su cinque cardini: la conservazione della biodiversità; il rafforzamento del presidio di forze dell’ordine; lo sviluppo delle comunità limitrofe; lo sviluppo del turismo e la gestione dell’area e delle infrastrutture. African Parks può contare su più di mille ranger – un quarto del totale dei suoi dipendenti – impegnati ogni giorno nella lotta per la salvaguardia degli animali e dei loro habitat. Il livello professionale di questi guardiani e operatori ambientali – assoldati e addestrati tra le popolazioni che abitano gli stessi territori da tutelare – è uno dei fiori all’occhiello dell’organizzazione ed è fonte di motivazione e di orgoglio per ciascuno di loro. Oggi, grazie a questa presenza e ai successi ottenuti nelle aree sotto il suo controllo, African Parks può disporre di una vasta e ricca popolazione di animali, composta da innumerevoli specie e distribuita su svariate regioni, la quale costituisce un enorme bacino da cui si può attingere, rispettando criteri etici ed ecologici ben precisi, per ripopolare altre aree in cui la fauna si è ridotta o è addirittura scomparsa.
Esemplari, a questo proposito, sono state le campagne di traslocazione di centinaia di elefanti condotte verso il Parco nazionale di Liwonde e le riserve faunistiche di Majete e di Nkhotakota (Malawi), territori dove i pachidermi erano stati sterminati dai bracconieri e che oggi sono tornati al centro dell’attenzione del turismo dei safari.
Riserve marine e sahariane
Gli ambienti e i territori in cui opera l’organizzazione sono i più diversi. Nel 2017 African Parks ha preso in gestione il Parco dell’Arcipelago di Bazaruto, in Mozambico, una delle poche aree di protezione marina dove nuota il raro dugongo. Grazie all’attività di pattugliamento di 53 ranger (di cui 16 donne), le attività di pesca illegale nel parco, che si estende su ben 1.430 chilometri quadrati, sono notevolmente diminuite e gli investimenti mirati dell’organizzazione hanno permesso di promuovere importanti attività per lo sviluppo turistico ecosostenibile.
Nel 2018 è stata siglato con il governo del Ciad un accordo per la gestione della Riserva Naturale e Culturale dell’Ennedi, massiccio sahariano inscritto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità per via delle sue formazioni naturali uniche e dell’arte rupestre risalente a settemila anni fa. Obiettivo: preservare e rilanciare un territorio che ha l’opportunità di diventare uno dei siti più rinomati e accessibili per il turismo sahariano. «L’Ennedi è un’oasi ecologica che ospita una notevole biodiversità, tra cui una popolazione residua di quattro coccodrilli dell’Africa occidentale, o del deserto», rende noto il sito di African Parks. «E la nostra prima indagine ornitologica ha portato all’individuazione di 185 specie di uccelli da tutelare».
Le ultime ambiziose sfide
Un anno dopo, nel 2019, African Parks ha firmato con la Zimbabwe Parks and Wildlife Authority un contratto ventennale per la cura del Parco Nazionale di Matusadona, nella Valle dello Zambesi, dove fino agli anni Novanta brucavano libere decine di rinoceronti neri, poi sterminati dal bracconaggio. «Entro il 2024 il rinoceronte nero tornerà a vivere nel parco, che vanta uno straordinario potenziale turistico», promettono i responsabili della missione, che già sono riusciti a ripopolare e a migliorare notevolmente il livello di protezione degli animali (sono state introdotte 223 zebre di Burchell; la popolazione di ippopotami è tornata a crescere ed è decuplicata rispetto a quella dei primi anni Ottanta; dieci elefanti sono stati muniti di collare, favorendo il controllo da parte dei ranger).
L’ultima sfida ambiziosa raccolta da African Parks è il rilancio del Parco Nazionale di Iona, nel profondo sud dell’Angola, un parco enorme, il più grande del Paese, che si estende tra il fiume Cunene, le dune del deserto del Namib e le acque dell’Atlantico. Ventisette anni di guerra civile hanno spopolato questo territorio che un tempo ospitava felini e grandi mammiferi e che ancora vanta molte specie di rettili, piante e uccelli rarissimi. I ranger stanno sistemando strade, recinzioni, punti di osservazione e di pattugliamento. Le comunità di pastori himba presenti nella zona sono state sensibilizzate e coinvolte nelle attività di rilancio del parco. Nei prossimi mesi arriveranno dalla vicina Namibia giraffe, bufali, zebre, elefanti. «Faremo del nostro meglio per riqualificare questo luogo straordinario – impunemente saccheggiato per decenni – affinché torni a essere un gioiello naturalistico in grado di richiamare migliaia di visitatori», assicurano i responsabili del parco.
Questo articolo è uscito sul numero 4/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’eshop.