La rivolta della dignità comincia al ghetto della Felandina

di Stefania Ragusa

Al ghetto della Felandina, nel territorio di Bernalda, in provincia di Matera, a pochi giorni  dal rogo in cui ha perso la vita una donna nigeriana,  è nato il Forum delle Terre di Dignità. Il Comitato Braccianti della Felandina e decine di associazioni italiane sottoscrivono il documento e convocano le prime iniziative a partire dalla manifestazione unitaria del 29 agosto in difesa del lavoro e per invocare soluzioni degne per agricoltori e braccianti nel metapontino

Il 22 agosto  al Ghetto della Felandina decine di associazioni hanno pubblicamente firmato il documento fondativo del Forum delle Terre di Dignità. Si conclude, così, la prima tappa aperta dall’appello lanciato dall’Associazione TerreJoniche che aveva chiamato ad unire gli sforzi per affrontare la scandalosa e inumana condizione in cui versano i lavoratori braccianti migranti accampati (ormai da oltre dieci anni) in “accampamenti di fortuna” nel territorio del metapontino in occasione delle campagne di raccolta.

Il documento di costituzione chiama alla responsabilità le istituzioni che finora hanno “guardato altrove senza assumere la responsabilità delle risposte”.

Di seguito il testo: «Se ci sono eventi prevedibili nel Metapontino (come ovunque in Italia e in Europa) questi sono i bisogni e i flussi di manodopera in agricoltura. Sappiamo tutto con sufficiente approssimazione: quanti ettari delle differenti colture si mettono in campo, in quali periodi si svolgono le lavorazioni, quanti sono i bisogni stimati di uomini e donne che dovranno essere impegnati per lavorare. Se si sa programmare la gestione dell’acqua, perché non si possono organizzare i flussi di lavoro? Dove è “l’emergenza”? Centinaia di braccianti (migliaia se consideriamo gli spostamenti interregionali) arrivano ogni anno da fuori del nostro territorio per integrare l’offerta di manodopera locale insufficiente, senza trovare le condizioni adeguate per poter lavorare: servizi, abitazioni, trasporti. Non potranno essere gli agricoltori a farsi carico da soli di risolvere problemi che, evidentemente, richiedono la piena responsabilità delle istituzioni nel determinare le condizioni logistiche e operative per l’accoglienza, un piano di gestione dei fabbisogni, una gestione trasparente del rapporto domanda/offerta di lavoro, una infrastrutturazione dei trasporti.
Cosa ci dobbiamo aspettare se i pomodori sono pagati 8 centesimi al campo o le albicocche 5 centesimi? Quale qualità del lavoro e dei prodotti potrà essere garantita? Possiamo scandalizzarci del lavoro schiavo se accettiamo l’idea che i prodotti al campo vengano sottopagati dalla speculazione commerciale e finanziaria?
In un Paese che da millenario luogo di produzione del cibo e lavoro della terra diventa una grande piattaforma commerciale, la presenza dei migranti nel nostro territorio durante le campagne di raccolta e lungo i tempi del lavoro della terra amplifica i nostri ritardi e i problemi di una società economicamente sempre più debole con un’agricoltura che sta vivendo una crisi insopportabile.
È in questo quadro che dobbiamo unire gli sforzi per affermare, al contrario, il fronte comune di chi lavora e produce e di chi ha interesse diretto ad un cibo giusto prodotto in un territorio tutelato e in contesti trasparenti; il nostro sistema straordinario dell’ortofrutta non può permettersi condizioni barbare da medioevo e le istituzioni non possono lasciare soli i nostri agricoltori e i braccianti a pagare lo sfruttamento di prezzo al campo ed a scaricarlo sui più deboli».

Primi firmatari del documento di costituzione e l’agenda delle prime iniziative sono proprio i braccianti della Felandina che nei giorni scorsi si sono organizzati in Comitato Braccianti della Felandina dandosi un coordinamento in cui sono rappresentate le diverse nazionalità presenti nel campo; a loro si sono aggiunte le organizzazioni italiane e le associazioni spiegando che: «Siamo diversi per approccio culturale, visione politica, esperienze concrete, composizione e natura delle pratiche che mettiamo in campo ma (in nome dell’impegno laico come dell’impegno religioso, di quello sociale come di quello istituzionale) siamo tutti testimoni attivi di una presenza diffusa da anni a sostegno dei più deboli, dei diritti e del territorio in quanto rappresentanti di sindacati, associazioni di volontariato, comunità e associazioni di credenti, movimenti civili, espressioni della cultura e dell’arte, comitati di iniziativa. In nome della nostra diversità che coltiviamo come valore e ricchezza, riconoscendoci nei comuni valori della democrazia, avendo bene a cuore i principi di umanità e di giustizia e l’obiettivo di tutelare e difendere le nostre comunità, dopo esserci incontrati abbiamo deciso di costruire uno spazio comune di iniziativa per mobilitare la società e le istituzioni perché la barbarie e l’arretratezza dei ghetti in cui vivono i braccianti impegnati nelle campagne di raccolta e nel lavoro delle nostre terre abbia una risposta degna della nostra storia e cultura civile e democratica».

Molte altre firme si aggiungeranno nei prossimi giorni con l’obiettivo di coordinare le iniziative, lanciare una grande campagna di comunicazione sociale e di informazione e di premere nei confronti delle istituzioni perché “facciano il loro dovere, offrendo le risposte di cui hanno responsabilità a partire dal dire quale è la soluzione in termini di ospitalità per i ragazzi e i lavoratori adesso accampati alla Felandina”. Alle prime associazioni italiane già ieri sera in assemblea si sono aggiunti Milo Rau – il regista svizzero che in collaborazione con la Fondazione Matera 2019, sta allestendo fra Matera e le campagne Lucane e Pugliesi il DocuFilm Il Nuovo Vangelo girato fra i migranti e nei ghetti – e i componenti della Campagna internazionale La Rivolta della Dignità ad esso collegata.

Prima tappa sarà la manifestazione unitaria che il 29 agosto vedrà sfilare insieme i braccianti migranti della Felandina con gli agricoltori, i braccianti italiani e le associazioni che compongono il Forum per concludersi in un’assemblea cui sono invitati tutti i sindaci del Materano, le Istituzioni, la Regione e soprattutto “le persone che hanno a cuore gli interessi delle nostre comunità rurali e la democrazia”.

 

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