La rivoluzione in testa

di claudia

di Stefania Ragusa – foto courtesy Laetitia Ky

L’artista ivoriana che fa dei suoi capelli sculture femministe. Laetitia Ky è un’artista-attivista della Costa d’Avorio. Le sue foto parlano di tabù, bullismo, odio, discriminazione, razzismo. Immagini che veicolano messaggi forti attraverso i suoi capelli che diventano sculture aeree, forme che scuotono e invitano alla riflessione

È molto giovane, Laetitia Ky, quando prende la sua decisione: avrebbe usato la testa per farsi strada nella vita. La testa nel senso di intelletto, creatività, centro della riflessione e del pensiero, ma anche nella sua accezione più anatomica e letterale, ossia base e sostegno della capigliatura. Laetitia infatti si è specializzata nella realizzazione di sculture aeree, che veicolano informazioni e denunce, realizzate con i suoi capelli intrecciati a extension, fil di ferro e altri supporti. Queste opere d’arte, effimere e spettacolari, hanno iniziato a viaggiare attraverso Instagram nel 2017, quando Laetitia aveva appena 17 anni, e sono approdate cinque anni dopo alla Biennale di Venezia. Qui la giovane artista ha degnamente rappresentato il suo Paese, la Costa d’Avorio, insieme con figure del calibro di Frédéric Bruly Bouabré, Aboudia e Armand Boua, in un allestimento di gruppo dedicato al sogno.

Ispirata dal passato

Tutto è cominciato in modo abbastanza casuale: con la visione di un album d’antan. Ritraeva donne africane di un’epoca anteriore alla colonizzazione, che sfoggiavano acconciature simili a sculture astratte, portatrici di un linguaggio familiare e al tempo stesso oscuro. Immagini in bianco e nero che illustravano pettinature simili a sculture che veicolavano messaggi (sulla religione, sul matrimonio, sullo status sociale…) come una lingua. Laetitia, studentessa fresca di studi di marketing, si è messa a fare ricerche, a scavare nel senso di quelle “costruzioni” così intime eppure così cariche di valore comunicativo. Attraverso i capelli, quelle donne lontane presentavano la propria identità: dichiaravano il proprio status sociale e civile, il credo religioso…

Il passo successivo è stata la sperimentazione sul proprio corpo, e la condivisione sulle piattaforme social (contro il parere di un padre che non le ha parlato per due anni temendo la difficoltà della scelta dell’arte, ma che si è poi ricreduto). Il successo è stato immediato. Oggi il suo profilo Instagram è seguito da mezzo milione di persone, mentre su TikTok i seguaci superano i 6 milioni. E sono stati i messaggi delle follower a spingere Laetitia verso l’attivismo. «Vedere una donna nera usare i propri capelli e mostrare la propria pelle ha avuto l’effetto di fare sentire meglio e più a proprio agio tante donne nere», racconta. «Ho capito che quello che stavo facendo aveva una forza che potevo usare per una proposta più grande». È allora che Laetitia ha iniziato ad associare i capelli al femminismo e a inserire nelle sue immagini questioni come il bullismo, il patriarcato, la discriminazione razziale, la violenza di genere.

Senza tabù

Gli argomenti trattati nelle sue opere si riferiscono alle esperienze femminili, talvolta suggerite dalle stesse follower. Per esempio, le differenze di trattamento riservate alle figlie femmine in tante famiglie o le molestie a sfondo sessuale, che cominciano quando si è poco più che bambine. O, anche, la difficoltà di una donna nera a viaggiare per il mondo. Difficoltà che non scompare nemmeno quando – come nel suo caso – si comincia ad avere una certa notorietà e a lavorare all’estero. I capelli vengono modellati per parlare di verginità, degli stereotipi sulla bellezza, di maternità, dello sfruttamento del corpo e della disuguaglianza tra i sessi. Il modello comunicativo usato nelle sue opere travalica la relazione tra l’artista e la propria identità, coinvolgendo inevitabilmente e intenzionalmente lo spettatore. I commenti, anche negativi, sono parte della rappresentazione artistica, che in assenza di questo scambio sarebbe monca.

Gli haters si scatenano soprattutto quando Laetitia tocca argomenti considerati tabù. Per esempio la rappresentazione del ciclo mestruale, che è un grande assente nel discorso pubblico africano, pur incidendo in modo considerevole sulla vita delle ragazze. «I fenomeni fisiologici del corpo non dovrebbero essere demonizzati, sono naturali e umani. Metà della popolazione ha le mestruazioni, quindi perché renderle un segreto o trasformare il parlarne in un peccato?», si domanda la nostra artista.

Nel tempo Laetitia ha ampliato il suo campo espressivo. Dalle sculture di capelli e dalla fotografia è passata al dipinto e ai mixage, fino ad approdare al cinema. Nel 2019 ha partecipato al film Night of the Kings, diretto da Philippe Lacôte, mentre nel 2023 ha recitato nel lungometraggio di Giacomo Abruzzese Disco Boy, Orso d’argento al Festival internazionale del cinema di Berlino. Oggi la sua fama è in crescita e si moltiplicano le occasioni espositive (da non perdere il suo libro fotografico‎Love and Justice. A Journey of Empowerment, Activism, and Embracing Black Beauty, Princeton Architectural Press, 2022, pp. 222, euro 29,00). Anche perché la notevole abilità con cui intreccia capelli e nodi dolenti della nostra società raggiunge e scuote tutte le coscienze, non solo delle donne nere. Ma il successo, è il caso di dirlo, non le ha dato alla testa. Ha i capelli svolazzanti ma i piedi ben saldi, Laetitia. Sa bene quanto sia ancora lunga la strada dell’emancipazione femminile. Ma è anche consapevole del potere rivoluzionario delle sue acconciature, che oggi sono fonte di ispirazione per milioni di giovani donne africane più che mai determinate a conquistarsi il futuro.

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