La Russia punta a espandersi in Africa. “Ecco la strategia di Mosca…”

di Marco Trovato

Voci e notizie sulla presenza di uomini del gruppo Wagner in Mali si rincorrono da giorni. Non è possibile averne la certezza, almeno fin quando Bamako non lo dirà a chiare lettere, ma “è verosimile che questa presenza ci sia, poiché fa parte di una strategia di ampio respiro della Russia in Africa, che potremmo soprannominare ‘value for money’” secondo Marco di Liddo, analista del Cesi (Centro studi internazionali), specialista in questioni russe e africane, in un’intervista a InfoAfrica.

L’esigenza dei russi è quella di espandere la propria presenza in Africa soprattutto per rafforzare il fronte del consenso internazionale sulle azioni russe, e aumentare la presenza delle aziende, soprattutto minerarie, russe in Africa”. In altre parole, garantirsi l’approvvigionamento di materie prime ritenute strategiche, che potrebbero essere la moneta di scambio ai servizi securitari. Ma anche in questo caso, Mosca mantiene un profilo velato, preferendo non impegnarsi in contratti tra governi, ma mettendo in avanti grandi aziende in mano a oligarchi, che secondo Di Liddo, in convenienza congiunta con il Cremlino, non sono altro che la lunga mano dello Stato russo.

L’oro sudanese del Darfur, i diamanti centrafricani, la bauxite guineana, il gas mozambicano, sono alcuni scenari dove sono coinvolti interessi di grandi imprese russe. “Il prossimi obiettivi saranno la Libia – ritiene Di Liddo – che non è solo idrocarburi, ma anche terre rare e miniere d’oro del sud, e perché no, il Mali, dove la parte desertica, l’Azawad, è anche il luogo che ospita i maggiori filoni d’oro mai scoperti negli ultimi 20 anni, e che corrono oltre i confini maliani”.

Vladimir Putin, residente della Federazione Russa, tra leader politici africani al Vertice Russia-Africa organizzato a Sochi nel 2019

In Mali, i partner russi sembrano essere stati chiamati a sostegno della lotta al terrorismo, a seguito dell’annuncio che la forza francese Barkhane verrà ridimensionata – e a fronte degli scarsi risultati ottenuti in otto anni di presenza militare francese – ma come in altri scenari, la Russia non fa della lotta al terrorismo jihadista un suo cavallo di battaglia. “La Russia ritiene che la definizione di terrorismo debba essere data dai governi di ogni singolo Paese. I Russi aiutano un governo locale a contrastare qualsiasi forma di instabilità, sia essa terrorismo, o insorgenza di altro tipo, ribellioni o proteste popolari.

Nella loro dottrina militare, i russi considerano le rivoluzioni ‘colorate’ come un rischio alla sicurezza nazionale che va affrontato per via militare”. Quest’argomento, sottolinea il senior analyst, trova il placet di molti uomini forti africani, che non vedono l’ora di avere un partner che dia le armi per placare rivolte interne, senza chiedere nulla, come lo fanno al contrario Ue e Stati Uniti per premura del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Questo però, non vuol dire che la lotta ai gruppi terroristi internazionali non sia parte dell’agenda internazionale di Mosca. Ricordiamo che la Russia ha subito attacchi terroristici sul proprio territorio, come la strage di Beslan del 2004. “In alcuni casi ha usato l’argomento della lotta al terrorismo per andare a fare piazza pulita, all’estero, dei nemici dei propri amici, come in Siria”, dice Di Liddo. Ufficialmente, diceva di andare a bombardare l’Isis, ma in realtà il vero bersaglio era la coalizione anti Assad”.

Lo stesso vale in Africa, dove il discorso politico mainstream vede la Russia accomunata nel voler combattere lotta ai gruppi terroristi jihadisti. “Ma cosa succede se il governo maliano, o burkinabè, etichetta come terroristi manifestanti, o movimenti della società civile, o forze ribelle anti sistemiche?”.

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