Psicofarmaci non ce ne sono. O se ci sono sono rari e costosi. Non ci sono o quasi cliniche attrezzate. Così le famiglie sono costrette a gestire in casa i malati mentali. E, talvolta, per contenerne l’irruenza ed evitare violenze inutili, i pazienti sono incatenati a un muro. È questa la dura condizione del disagio psichico in Somaliland, la regione settentrionale della Somalia che da più di vent’anni si è dichiarata indipendente (anche se nessuna nazione al mondo l’ha riconosciuta).
Non esistono dati ufficiali sulla prevalenza delle condizioni di salute mentale, ma secondo alcune ricerche condotte a livello locale da psichiatri somali e stranieri indicano alti livelli di disagio psichico causati dalla violenza della guerra civile in corso nella vicina Somalia, l’uso diffuso del qat, la disoccupazione radicata e la mancanza di assistenza sanitaria.
«In Somaliland, la salute mentale è un campo abbandonato», spiega ai microfoni dell’emittente qatariota Al Jazeera Abdirisak Mohamed Warsame, uno dei pochissimi professionisti che lavorano per migliorare la vita delle persone che soffrono di problemi di salute mentale nel Paese del Corno d’Africa. Chi soffre di disturbi psichici è abbandonato o, comunque, trascurato. Spesso i malati, soprattutto le donne, vengono abusati.
Il disagio psichico è un tabù. Nella maggior parte dei casi i malati sono tenuti a casa. Nascosti agli occhi della gente. Spesso incatenati per evitare che facciano e si facciano male. Le famiglie che hanno maggiori risorse economiche ricoverano i pazienti con disturbi psichici in piccole cliniche private.
Le strutture pubbliche sono pochissime, senza mezzi e con poco personale specializzato in grado di curare le persone con condizioni precarie di salute mentale. Solo nel reparto di salute mentale dell’ospedale di Hargeisa sono spesso disponibili gli psicofarmaci. Troppo poco per un problema che sta diventando un’autentica emergenza.