di Uoldelul Cherati Dirar
Tra i vari ambiti in cui si è manifestato l’incontro tra modernità europea e società africane, uno dei più affascinanti è quello della salute. Per quanto non sempre al centro delle riflessioni sulle politiche coloniali, le politiche sanitarie rappresentano un momento importante di confronto e spesso di conflitto tra due universi culturali differenti
Nella loro espansione nel Corno d’Africa, i missionari prima e le autorità coloniali italiane dopo si trovarono a confrontarsi con complesse tradizioni mediche ancorate a nozioni di corpo, salute e malattia significativamente diverse da quelle affermatesi nella moderna medicina europea. In particolare, nelle società cristiane degli altopiani eritreo ed etiopico la Chiesa ortodossa svolgeva un ruolo centrale nella definizione e nell’attuazione delle norme sociali e nella regolazione dei flussi della vita quotidiana. La salute e la medicina appartenevano a questo ambito.
A questo proposito, la millenaria tradizione cristiana ortodossa locale aveva sviluppato un approccio molto articolato alla salute, in cui la dimensione medica e quella religiosa erano strettamente intrecciate in quanto la religione forniva sia il quadro culturale per la definizione di salute e malattia sia gli attori sociali incaricati di curare e guarire. Questa tradizione ha sviluppato un approccio olistico, basato sull’idea che la salute fosse incorporata in un solido ordine religioso e sociale di cui la malattia indicava una perturbazione. Si avevano quindi due livelli nella tradizione medica: l’eziologia e la terapia.
A livello eziologico, la malattia è considerata un’espressione di disordine nella complessa rete di relazioni tra individuo e comunità, tra viventi e morti, tra mondo umano e mondo divino, ovvero l’insieme di attori che concorrono a definire l’ordine sociale. Attingendo a un’ampia e ricca tradizione culturale che comprende contributi ellenistici, giudaici e arabi, la definizione di quest’ordine si basa sulla rappresentazione di un passato mitico in cui, all’inizio, gli esseri umani e gli spiriti coesistevano e interagivano pacificamente. Quell’ordine idilliaco sarebbe stato sconvolto dall’avidità e dalla lussuria umane. L’armonia originaria sarebbe così stata sostituita da ostilità e rabbia, per cui ora l’unica relazione tra i due mondi è conflittuale e la malattia è il luogo metaforico e reale di questo scontro.
Una volta individuati i sintomi, iniziava la terapia, che prevedeva un processo duplice e parallelo volto a curare l’anima e a guarire il corpo. La guarigione delle anime era un processo spirituale incentrato sull’uso di immagini e parole tratte dalla tradizione biblica, affiancato dal ricorso a una complessa farmacopea basata sull’utilizzo di erbe officinali. Essendo lo spettro delle malattie ampio e difficile da individuare, era necessaria una specializzazione e si raccomandava ai pazienti di ricorrere a più di un professionista e comunque, in questo approccio olistico, la ricerca dei sintomi, sebbene intrapresa da esperti, coinvolgeva l’intera comunità, che contribuiva con osservazioni, commenti e il ricordo dei dettagli della vita sociale della vittima.
Nel loro progetto di trasformazione delle società locali, i medici missionari prima e quelli dell’amministrazione coloniale poi entrarono in competizione con la medicina locale, sfidandole in uno dei loro aspetti più vitali, il concetto di corpo, salute e malattia. Per i missionari l’ambito sanitario era un terreno su cui potevano facilmente attrarre e contattare le popolazioni locali e da lì iniziare l’attività di proselitismo. Tuttavia, nonostante l’ammessa rilevanza della salute e della medicina come strumenti di proselitismo, i missionari non hanno fatto sforzi particolari per comprendere la complessità culturale alla base dei concetti eritrei di salute, medicina e corpo, sbrigativamente liquidati come espressione di superstizione e arretratezza.
Un aspetto importante dell’intervento missionario e coloniale è stato quello della produzione di manuali e testi di argomento medico in lingue locali.
Oltre ad affrontare le questioni mediche secondo la prospettiva eziologica europea, i manuali perseguivano anche altri due importanti obiettivi. In primo luogo, intendevano sviluppare un vocabolario medico indigeno che riflettesse i concetti europei di corpo e salute. In questo modo cercavano di ridefinire le percezioni e le rappresentazioni indigene dal punto di vista semantico e operativo. Questa letteratura comprendeva anche una breve ma ideologicamente densa sezione introduttiva, che invitava apertamente ad abbandonare le pratiche mediche locali ed esortava il personale infermieristico indigeno ad agire come propagatore della civiltà e del progresso tra i propri compaesani.
Queste politiche hanno posto le premesse per il radicamento di un modello sanitario di matrice europea che ha poi caratterizzato il successivo sviluppo della sanità nella regione. È interessante constatare come oggi l’Europa sempre più si avvicini (ritorni?) a nozioni più complesse e olistiche di salute, malattia e terapia.