La sfida del lavoro nei campi profughi sahrawi

di claudia

a cura di Nexus Emilia-Romagna

Cinquant’anni di occupazione da parte del Marocco e il fallimento della Missione Onu per il referendum nel Sahara Occidentale hanno lasciato una popolazione rifugiata di 173.000 persone nei campi algerini. Qui si vive in condizioni critiche, dipendendo dagli aiuti umanitari. È possibile fare cooperazione nel deserto in tali condizioni? Secondo Nexus Emilia-Romagna, la ong promossa dalla Cgil, presente sul campo da alcuni decenni, sì.

Nel contesto di stallo politico internazionale caratterizzato da una palese debolezza della Minurso (la missione di pace delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale), nelle tendopoli di Tindouf in Algeria nasce una nuova generazione di esiliati le cui vite sono sospese. Mentre varie organizzazioni si impegnano con difficoltà a far fronte all’emergenza, il cronicizzarsi della stessa causa l’insorgere di nuove problematiche. Le condizioni ambientali e la carenza di fonti d’acqua e di terre coltivabili ostacolano l’autoproduzione di cibo; il settore pubblico è una delle opportunità d’impiego più comuni, ma i salari sono miseri e non c’è garanzia di stabilità lavorativa. Molti giovani cercano pertanto di guadagnarsi da vivere con il lavoro informale, che, sebbene scarsamente redditizio, offre un’alternativa momentanea all’impiego pubblico. La maggioranza della popolazione si trova dunque in una situazione di vera emergenza, nell’insicurezza lavorativa e alimentare. Inoltre, l’aumentato costo degli alimenti al dettaglio conseguente al conflitto russo-ucraino ha un effetto dirompente. In tale situazione la possibilità delle autorità locali di farsi carico dei bisogni di una popolazione affamata e impoverita è sempre più ridotta.

Chi conosce la storia del popolo sahrawi è consapevole del ruolo chiave, unico in quell’area geografica, svolto dalle donne nella società. Nei primi anni dell’esilio furono loro a farsi carico della gestione delle tendopoli, acquisendo indipendenza, fiducia nelle proprie capacità e un ruolo primario nella società che non si è perso con la fine della guerra. Per questo, Nexus ER, in collaborazione con il sindacato sahrawi (Ugt Sario), Cgil e la propria rete di partner, ha deciso di sostenere proprio la promozione e il riconoscimento del ruolo sociale ed economico delle donne, attraverso la creazione di gruppi di donne per la produzione di alimenti, la loro commercializzazione e alcune sperimentazioni nell’orticoltura.

L’approccio di Nexus ER alle necessità delle donne sahrawi ha apportato innovazione rispetto a precedenti interventi, volti a creare e rafforzare gruppi femminili ma senza riuscire a ottenere i risultati sperati. Le donne, che si devono fare carico della gestione della famiglia, nel contesto locale non riescono a garantire la continuità, se per lavorare devono allontanarsi da casa: ogni evento imprevisto della vita familiare le impegna in prima persona, impedendo loro di dedicarsi ad altro.

A fronte di quest’analisi della realtà, abbiamo deciso di sostenere attività svolte presso il proprio domicilio quali catering, sartoria e produzione, trasformazione, commercializzazione di alimenti. Tra queste piccole iniziative, avviate in autonomia dalle donne, sono state scelte quelle, le più diffuse, aventi attinenza con il cibo. Le attività generatrici di reddito supportate sono quindi strutturate in modo da non impattare in maniera negativa sulla collettività: generano un reddito per le famiglie senza però incidere negativamente sulla gestione del tempo delle donne, che è in gran parte assorbito dal lavoro di cura non retribuito in casa e nella comunità.

La sfida attuale è quella di disegnare insieme alle donne una strategia di prosecuzione nella consapevolezza che i benefici creati sono ben lontani dal risolvere i problemi di tutte le donne sahrawi; in parallelo sarà imprescindibile una presa di responsabilità anche delle istituzioni locali per uscire da una logica di economia e di mercato del lavoro fondati prettamente sull’assistenzialismo, e che non cristallizzi dinamiche di potere locali che si cronicizzano come la stessa crisi umanitaria. Da queste riflessioni è nata l’idea del progetto PRODAZ, Produzioni in Azione, attualmente in corso.

Il progetto si pone quindi il duplice obiettivo di far fronte all’emergenza alimentare mediante un lavoro che ridia dignità dopo 50 anni di dipendenza, con la consapevolezza che si lavora per un progetto comune, per l’affermazione di diritti e di giustizia, attraverso la solidarietà attiva dei sindacati. I progetti vivono della solidarietà e di relazioni di amicizia e di sostegno all’obiettivo finale, l’esercizio del diritto di autodeterminazione per la via nonviolenta. Il progetto è quindi un’opportunità per attivare e far vivere la solidarietà e un impegno civile militante.

Dal 2020, anno in cui si è riacceso il conflitto con il Marocco, nelle nostre missioni abbiamo registrato un crescente interesse dei giovani sahrawi ad abbracciare la resistenza armata al governo marocchino, vista come unica speranza di riscatto da un’esistenza priva di futuro. In questo contesto è urgente che le istituzioni nazionali e sovranazionali svolgano il proprio compito affinché la speranza sia ripagata. Da una parte, le attività generatrici di reddito dovrebbero contribuire alla collettività, a creare opportunità di lavoro nel rispetto delle norme definite a livello internazionale. Dall’altra non vanno abbandonati l’impegno politico e l’azione di pressione sulle istituzioni per la soluzione del conflitto nel rispetto del diritto internazionale e del principio di autodeterminazione dei popoli.

(contenuto redazionale di Coopera in Africa)

Condividi

Altre letture correlate: