Nel Settimo Rapporto della Carta di Roma (che è stato presentato a dicembre scorso) in un certo modo è presente anche lei, Kaha Mohamed Aden, scrittrice di origine somala ormai residente a Pavia da più di 30 anni. Per introdurre la sintesi dei principali risultati, gli estensori hanno voluto infatti prendere un breve brano del suo ultimo libro, Dalmar, la disfavola degli elefanti (Unicopli).
Il brano è quello in cui l’elefantessa Bilan Narges, profondamente infastidita dagli orsi che invitano lei e gli altri elefanti a ritornare a casa loro (vi ricorda qualcuno?), si abbandona a un dialogo introspettivo:
Tornate a casa vostra! “Quale casa?, mi chiedo”. Tornatevene a casa vostra! “Che pensiero sconcio! Lo sanno tutti che gli elefanti, nel loro errare, non conoscono fissa dimora. Qualcuno li deve informare che siamo eternamente, da sempre, in cammino. Non so se da queste parti siamo di passaggio o meno, ma di certo siamo in cammino”.
La dis-favola (ossia una favola distopica, senza lieto fine ma con molti insegnamenti), si adatta certamente anche alla situazione italiana ma in realtà parla della Somalia. Precisamente di quel che è accaduto dopo la caduta di Siad Barre, a partire dal 1991, «Quando è stato chiaro che i liberatori non volevano un nuovo corso ma portarsi al potere utilizzando il loro clan », dice Kaha Aden. «Quando abbiamo finito di essere somali».
La vicenda si svolge su un’isola, che rappresenta la Somalia, da cui gli orsi, detentori del potere, scacciano tutti quelli che non fanno parte del loro gruppo (clan) o di un gruppo amico. Gli elefanti, che sono detentori di una grande saggezza e di una lunga memoria, sbarcano però sull’isola…
Ma perché la (dis)favola e non la saggistica, il memoir o il romanzo?
«Perché consente di rinominare il massacro in una forma diversa. Accertare la verità storica, fare i nomi, è compito degli storici. A me interessava offrire una possibilità di discussione per trovare insieme una bussola in grado di orientarci verso un futuro responsabile.. I somali tendono a rimuovere quello che è accaduto nel Paese. Un ricordo che non sia puramente commemorativo è necessario per la pacificazione».
Questo libro è un omaggio anche alla classica favola africana, in cui gli animali filosofeggiano rappresentando in realtà gli uomini, e si presta a vari livelli di lettura. Può essere apprezzato dai bambini. Può avere una valenza pedagogica, perché fornisce spunti interessanti sulle dinamiche di esclusione e inclusione che caratterizzano l’orizzonte dell’intercultura. E soprattutto può fornire una chiave per avvicinarsi a una delle vicende più complesse e dolorose della storia contemporanea, che è appunto l’implosione della Somalia. «Un Paese che l’Italia non si può proprio permettere di ignorare», osserva Kaha. Suo padre, che sotto Siad Barre ha passato lunghi anni in prigionia perché, dopo essere stato ministro, era divenuto oppositore del regime e che successivamente è stato ancora perseguitato, ha sostenuto questa tesi in un libro pubblicato qualche anno fa in Italia, dove si era stabilito. Si intitolava: La Somalia non è un’isola dei Caraibi. Ossia, non è lontana dalla penisola come potrebbe esserlo un paradiso vacanziero del Pacifico e non ci si può permettere di misconoscerla. «Quando ho scelto dove ambientare la mia storia di elefanti e orsi ho pensato a quel libro di mio padre e ho voluto, in un certo senso giocare con quel titolo».
(Stefania Ragusa)