La stazione di Asmara come metafora della storia dell’Eritrea. È questo il senso della mostra fotografica «La Stazione di Asmara» a cura di Adam Styp-Rekowski che sarà inaugurata l’8 dicembre nella storica sede della Dante Alighieri di Tunisi. Le immagini danno vita a un viaggio tra il reale e l’immaginario nel piccolo Paese del Corno d’Africa che, dopo la seconda guerra mondiale, ha vissuto l’occupazione etiopica e poi l’attuale dura dittatura di Isayas Afeworki. Un’Eritrea con paesaggi splendidi, un’architettura art-deco modernista unica, con la gentilezza della sua popolazione pari alla propria sofferenza. Un paese rimasto sospeso, inerte ma che continua ad esistere pur rimanendo ai margini del mondo.
Adam Styp-Rekowski ha visitato tutta l’Eritrea. È partito dalla costa caldissima per risalire lentamente verso l’altopiano. Ha ripercorso la storia di questa nazione attraverso i suoi monumenti e le sue meraviglie naturali. Ma, giunto ad Asmara, è rimasto colpito dalla stazione. Un luogo che gli è sembrato riassumere tutte le vicende nazionali. Agli inizi del Novecento, gli italiani cominciarono la costruzione della ferrovia per collegare l’antica città millenaria di Massaua alla nuova e scintillante Asmara. L’opera fu completata nel 1911. Per Mussolini era un fiore all’occhiello e, insieme agli splendidi palazzi costruiti dai migliori architetti italiani, faceva di Asmara una città unica, il simbolo dell’Italia in Africa. La sconfitta del regime nei primi anni Quaranta ha messo fine al potere coloniale in Eritrea.
I poteri successivi hanno abbandonato la ferrovia come tutto il Paese. I trent’anni di guerra per la liberazione dell’Eritrea l’hanno rovinata ulteriormente. Solo dopo l’indipendenza (1993) l’Eritrea ha ripristinato la ferrovia ma dal 2000, con la chiusura del Paese al resto del mondo, la ferrovia ha iniziato a funzionare in modo non continuativo. Nelle pareti della stazione si sono sedimentati, come nelle rocce, tutti questi passaggi storici. E Adam Styp-Rekowski, un giurista di formazione che vive in Tunisia dove dirige l’Ong «Democracy Reporting International», li ha colti nel corso dei suoi lunghi soggiorni in Africa orientale. La sua esposizione durerà sino al 12 gennaio 2018.