di Andrea Spinelli Barrile
Omosessuale, donna, pugile e prima medaglia in assoluto per la squadra olimpica dei rifugiati alle Olimpiadi, di cui è stata anche la portabandiera. Il 2024 di Cindy Ngamba, nata in Camerun nel 1998, 25 anni, peso medio e tra i 29 atleti selezionati dal Team Rifugiati, è un anno davvero speciale che corona una storia personale, la sua, altrettanto simbolica.
La 25enne ha battuto domenica, per decisione unanime, la francese Davina Michel, testa di serie numero sei, raggiungendo così la semifinale femminile dei 75 kg: significa che sarà sicuramente almeno medaglia di bronzo (i semifinalisti perdenti vengono premiati entrambi con il bronzo). Giovedì l’atleta del Team rifugiati affronterà Atheyna Bylon di Panama.
Ngamba, all’anagrafe Cindy Djankeu Ngamba Ninon Mateu, è la prima atleta del Team dei Rifugiati a salire sul podio dei Giochi Olimpici. L’atleta vive nel Regno unito dal 2012, da quando all’età di 13 anni si è trasferita in Europa con lo zio. A 16 anni Ngamba cercò di presentare la domanda per iniziare l’università nel Regno Unito e, così, scoprì che suo zio, tornato in Camerun, aveva smarrito alcuni suoi documenti. Complicando non poco la sua situazione: “Avevano bisogno del mio documento e del mio visto per approvarmi il college: solo allora ho scoperto che non avevo il passaporto. Ero così depressa del fatto non potevo fare quello che facevano le altre persone della mia età, quello che facevano le altre ragazze, come passare la patente o farsi dare un documento d’identità. Non potevo uscire perché non avevo i documenti. Ho avuto la possibilità di andare in America tramite degli sponsor, ma non ho potuto farlo a causa dei miei documenti” raccontò la stessa Ngamba al quotidiano locale inglese Bolton news.
Ngamba, scoprì a quel punto di essere stata portata illegalmente nel Regno Unito. Negli anni, mentre da un lato deteneva il titolo inglese non professionistico della sua categoria, e veniva ricevuta dall’allora premier britannica Theresa May, dall’altro viveva una condizione di sostanziale illegalità e ha persino rischiato l’espulsione dal Regno Unito.
Nella bio sui suoi social, Ngamba non nasconde il suo essere camerunese: la bandiera del Paese africano è mostrata con orgoglio, un orgoglio che non è tanto nazionalista quanto più culturale, legato alle origini. Non alle istituzioni. Su questo punto, Ngamba mostra di essere una vera combattente, una che non cerca scuse, una vera medaglia olimpica: all’inizio, ha raccontato lei stessa al quotidiano The independent, “quando ho fatto domanda per i documenti avrei potuto usare la mia sessualità e fare coming out ma sono rimasta nell’ombra. Vengo da un Paese dove sono molto severi e la mentalità è diversa: ho provato a usare quindi la boxe, la scuola o la domanda per il college” per sostenere la richiesta di asilo ma “il ministero dell’Interno britannico non ne ha voluto sapere”. Di fatto costringendola, pena la deportazione, a fare coming out, quando aveva 18 anni. Ma anche questo non è bastato: nel frattempo, Ngamba è diventata la seconda donna, dopo Natasha Jonas, a vincere tre categorie di peso del National amateur championship britannico ma dopo 15 anni trascorsi in Inghilterra ancora oggi sta lottando per ottenere il visto e la cittadinanza britannica.
Con il fratello Kennet, nel 2019, Ngamba ha trascorso un periodo in un centro di espulsione a Londra, il periodo forse più difficile: la pugile infatti si era già dichiarata omosessuale e l’espulsione in Camerun avrebbe potuto significare per lei il carcere, perché nel Paese africano l’omosessualità è un reato. E questo, nonostante persino la figlia del presidente camerunese Paul Biya abbia fatto, di recente, outing sui suoi canali social, una dichiarazione con un chiaro scopo: “Cambiare le cose”.
Prima di Parigi 2024, la Gb boxing ha tentato senza successo di aggiungere Ngamba alle proprie fila per il programma olimpico, arrivando persino a scrivere una richiesta al Ministero dell’Interno per concederle la cittadinanza. Richiesta caduta nel vuoto. Poi Ngamba ha vinto una borsa di studio con la squadra dei rifugiati del Cio ed oggi è la prima pugile donna a rappresentare la squadra ai Giochi. Vincendo una medaglia.