È di almeno 153 morti e 73 feriti l’ultimo bilancio del sanguinoso attacco di due giorni fa in un villaggio nel centro del Mali. Lo ha confermato l’ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. L’attacco a Ogossagou, nella regione di Mopti, è l’ultimo di una serie di assalti di una spirale di violenza che ha portato alla morte di 600 persone e ha provocato migliaia di sfollati da marzo 2018 solo nella regione di Mopti.
La strage del Mali non è un fatto isolato. È tutta la regione del Sahel coinvolta in scontri tra pastori nomadi e agricoltori stanziali. In pratica una lotta all’ultimo sangue per le risorse sempre più rare, in questo caso la terra resa sempre più contesa anche per questioni climatiche, cioè per l’avanzata del deserto. Massacri analoghi sono avvenuti recentemente nella regione del plateau nigeriano e, in misura ridotta, in altre regioni saheliane.
Nel caso del Mali si è trattato di uno scontro tra pastori nomadi di etnia fulani e agricoltori stanziali di etnia dogon o berberé. In sostanza una lotta per la vita o per la morte in una regione dove le risorse – terra e acqua – sono sempre meno rispetto alla popolazione.
Due le cause che alimentano questi massacri: una è stata già citata, cioè l’avanzata del deserto a fronte di un aumento della popolazione. L’altra è che i governi, in questo caso quello del Mali, hanno cercato, in nome della modernizzazione, di assegnare i territori rompendo gli accordi ancestrali che ne regolamentavano l’utilizzo e delegati ai capivillaggio o alle autorità tradizionali.
Quegli accordi e lo sfruttamento della terra nel passato facevano di Mopti una sorta di “eldorado” grazie alla sua agricoltura e alle acque del grande fiume Niger. Nei primi anni dell’indipendenza se ne parlava come del cuore economico del Paese. Rappresentava oltre il 30% dei suoi proventi derivanti dall’esportazione. Oggi il centro del Mali è un’area remota e abbandonata a sé stessa con livelli di scolarità che sono i più bassi dell’Africa occidentale, come quelli che si registrano nel grande deserto del Nord, dove operano diverse formazioni jihadiste.
Nel passato, poi, il rapporto tra agricoltori stanziali e pastori nomadi era una relazione perfetta, fragile ma funzionante come un orologio svizzero, che dava benessere a tutte le popolazioni. In pratica le popolazioni nomadi del Nord possedevano le proteine della carne dei loro animali mentre gli agricoltori stanziali del Sud possedevano i carboidrati che derivavano dalle loro coltivazioni agricole. Carboidrati e proteine che venivano scambiati nei frequenti rapporti che avvenivano in quella zona di cerniera che è il Sahel.
Oggi tutto ciò è saltato. Tra agricoltori e pastori non ci sono più rapporti ma scontri. Entrambe le popolazioni hanno bisogno della terra. E di terra ce n’è sempre meno. I governi fino ad ora si sono dimostrati incapaci di affrontare la questione e le popolazioni fanno da sole, abbandonate in una spietata lotta per le risorse. Una lotta per la vita.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)