Oggi è la giornata della memoria e dell’accoglienza, istituita per commemorare le tante vittime dell’immigrazione. Una data scelta in ricordo della tragedia avvenuta il 3 ottobre 2013 in cui a Lampedusa persero la vita 368 persone. Otto anni dopo, poco o nulla si è fatto per impedire che migliaia di uomini e donne, bambine e bambini, perdano la vita nel Mediterraneo. I viaggi della speranza verso l’Europa continuano, senza sosta, e le morti aumentano.
di Angelo Ravasi
“Come una spina nel cuore” per una e, insieme, tante tragedie di vite perdute nel Mediterraneo. Sono passati otto anni da quel 8 luglio 2013 quando Papa Francesco, nel suo primo viaggio fuori dal Vaticano, ha pronunciato quelle parole, ha espresso quei pensieri proprio a Lampedusa. Parole che tornano forti e attuali anche otto anni dopo, perché poco o nulla si fatto per impedire che migliaia di uomini e donne, bambine e bambini, perdano la vita nel Mediterraneo. Una ferita che nessun atto politico è ancora riuscito a sanare. Ma è bene, in questo giorno, ricordare le parole di Bergoglio. E, incessante, torna alla memoria il grido di Francesco lanciato nel luogo simbolo della sofferenza nel Mediterraneo: “In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza”, “ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro” Ci è stata tolta “la capacità di piangere”. La preghiera fu allora quella di chiedere al Signore “perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle”, “perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore”, “perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi”, affinché il mondo abbia “il coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore”.
Accogliere. Una parola che rimane distante dalle coscienze degli uomini e ancora di più dalle azioni della politica troppo attenta al rendiconto immediato in termini di consensi che al bene di uomini e donne che non cercano altro se non la speranza di poter vivere in dignità. Dignità che le è stata negata e strappata nei Paesi in cui vivono e da cui sono scappati. Una politica che alla parola accoglienza risponde con l’intervento militare in quei Paesi africani ostaggio del terrorismo e dei trafficanti di uomini che sfruttano le vie migratorie per arricchirsi. Impegni militari che i fatti dimostrano essere inefficaci. Vi è una sproporzione inquietante tra spese per le operazioni militari nelle aree di transito dei migranti, come il Sahel, e quelle per lo sviluppo e la cooperazione. La maggior parte degli uomini e delle donne che salgono sui barconi della morte non fuggono dalle guerre, ma dalla povertà, dai cambiamenti climatici, da paesi dove non gli è garantito un futuro. Un luogo dove la povertà cresce. E così i viaggi della speranza verso l’Europa continuano, senza sosta, e le morti aumentano.
Il numero di migranti morti in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa, infatti, è più che raddoppiato nella prima metà del 2021. Secondo le statistiche pubblicate in un nuovo rapporto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, almeno 1.146 persone sono morte in mare nel tentativo di raggiungere il Vecchio Continente. Nel 2020, 513 erano morte nello stesso periodo e 674 nel 2019. “L’Oim ribadisce la richiesta agli Stati di adottare misure urgenti e proattive per ridurre la perdita di vite umane sulle rotte migratorie marittime verso l’Europa e per rispettare gli obblighi previsti dal diritto internazionale”, ha spiegato il direttore generale dell’Oim Antonio Vitorino, in una nota. “Aumentare gli sforzi di ricerca e soccorso, mettere in atto meccanismi di sbarco prevedibili e garantire l’accesso a rotte migratorie sicure e legali sono passi chiave per raggiungere questo obiettivo”, ha sottolineato. Nei primi sei mesi dell’anno, la maggior parte dei decessi è stata registrata nel Mar Mediterraneo (896), con un aumento del 130% rispetto allo stesso periodo del 2020. La maggior parte è morta nel Mediterraneo centrale (741), descritto dalle agenzie umanitarie come la rotta più pericolosa al mondo, seguita dal Mediterraneo orientale (149). Sei migranti sono morti cercando di raggiungere la Grecia via mare dalla Turchia.
Nello stesso periodo, almeno 250 migranti sono morti in mare durante il tentativo di raggiungere le Isole Canarie, nell’Atlantico. Tuttavia, queste cifre sono sicuramente molto inferiori alla realtà, sottolinea l’Oim, sostenendo che “centinaia di casi di naufragi invisibili” sono segnalati da Ong che sono in contatto diretto con chi è a bordo o con le loro famiglie. “Questi casi, estremamente difficili da verificare, mostrano che il numero di morti sulle rotte marittime verso l’Europa è molto più alto di quanto indicano i dati disponibili“, aggiunge l’organizzazione internazionale con sede a Ginevra.
Nonostante la drammaticità dei numeri le migrazioni non si fermano. Chi parte sa cosa succede o può succedere nel Mediterraneo. Altri numeri, infatti, aiutano a capire perché migliaia, milioni di persone fuggono dalle loro case. Tutto faceva pensare che la povertà estrema in Africa, vale a dire chi vive con meno di 1,90 dollari al giorno, potesse diminuire nel 2020 o per lo meno attestarsi intorno ai 425 milioni. Ma non è stato così, complice anche la pandemia da coronavirus. Il numero è cresciuto di parecchie unità e si stima, ora, che gli africani sotto la soglia di povertà abbiano raggiunto i 453 milioni e stime ancora più pessimistiche farebbero salire questa cifra a 462 milioni. Un’enormità. Le ragioni delle migrazioni si dovrebbe andarle a cercare proprio in quei numeri. Ma un altro dato, anch’esso significativo, fa capire che tutti gli allarmi di invasione sbandierati da certa destra sovranista, non solo sono fuori luogo ma non corrispondono alla realtà. La Commissione economica per l’Africa dell’Onu stima che il numero di migranti in Africa è passato da 23,5 milioni a 26,5 milioni tra il 2015 e il 2019, un aumento del 13 per cento. Tutto ciò fa crescere la pressione su Stati già in sofferenza.
Per tornare alla parola chiave, accoglienza, è evidente che dovrebbe esserci un riequilibro tra spese in sicurezza e in cooperazione allo sviluppo arrivando, almeno, a una sorta di parità. La gente scappa perché non trova un lavoro dignitoso, oppure perché quando ha bisogno di cure se le trova deve pagare per accedere alla sanità. Rimane la domanda: se ci trovassimo nelle stesse condizioni cosa faremmo? Scapperemmo.
(Angelo Ravasi)