Eppure, chi non ama le ong avrebbe una soluzione a portata di mano: sostenere e allargare l’iniziativa dei corridoi umanitari
Il nuovo clima politico sta già producendo i suoi effetti. Da metà marzo la nave dell’ong spagnola Open Arms è posta sotto sequestro: una decisione sconcertante della Procura della Repubblica di Catania, che accusa l’organizzazione di non aver consegnato i migranti alla marina libica, oppure a Malta. L’avvocato dell’ong ha parlato dell’introduzione in Italia del «reato di solidarietà». La decisione segna un nuovo avanzamento dell’attacco politico, giudiziario e mediatico alle organizzazioni umanitarie che soccorrono migranti e richiedenti asilo in mare. Secondo i detrattori, sono in combutta con i cosiddetti trafficanti, addirittura con i clan della malavita e persino con organizzazioni terroristiche. Non mancano i collegamenti con Mafia Capitale e l’accusa di lucrare sull’accoglienza (Di Maio, Cinque Stelle).
Stiamo parlando, oltre che di Open Arms, di Medici senza frontiere, insignita del premio Nobel, di MOAS, che a Lesbo donò al papa il giubbotto di una bimba annegata, di Save the Children, di SOS Méditerranée e alcune altre. Il nuovo attacco rilancia l’accusa, già sollevata un anno fa da un rapporto di Frontex, l’agenzia europea di sorveglianza delle frontiere: le ong scambiano telefonate con i trasportatori e arrivano troppo vicino alle coste libiche per soccorrere le persone. Agirebbero come «taxi del mare».
All’epoca aveva risposto Medici senza frontiere: «L’alternativa implicita nelle accuse di Frontex alle nostre operazioni di salvataggio è quella di lasciar annegare le persone come strategia per dissuadere i trasportatori», mentre Amnesty International aveva definito la campagna contro le ong «forse il più brutale indicatore di come i leader europei stiano voltando la schiena ai rifugiati». Avevano fatto notare che la distruzione delle barche degli scafisti da parte della missione UE Sophia li induce a usare natanti sempre più fragili e inadatti a tenere il mare: ciò richiede di arrivare il prima possibile a trarre in salvo i migranti.
Un anno fa, la svolta delle politiche italiane ed europee sull’asilo si era espressa mediante la concessione di nuovi fondi alla Libia, la fornitura di motovedette, il foraggiamento delle milizie locali, ma non da ultimo anche intralciando l’attività di salvataggio in mare da parte delle ong e spingendone la maggior parte a desistere. In un altro rapporto Amnesty International aveva scritto: «Le motovedette libiche aprono il fuoco contro altre imbarcazioni e sono state direttamente coinvolte, con l’impiego di armi da fuoco, nell’affondamento di imbarcazioni con migranti a bordo».
Chi non ama le ong e il loro lavoro, chi sospetta trame e arricchimenti, chi rivendica la sovranità dello Stato avrebbe a portata di mano una soluzione: sostenere e allargare l’iniziativa dei corridoi umanitari. Niente più rischiosi viaggi in mare, niente più scafisti, neppure più salvataggi da parte di navi militari e ong.
Ma il vento che tira fa pensare che l’escalation della campagna contro i richiedenti asilo e chi li soccorre conoscerà nuovi sviluppi.
Maurizio Ambrosini. Docente di Sociologia delle Migrazioni nell’Università degli Studi di Milano, insegna anche nell’Università di Nizza. È responsabile scientifico del Centro Studi Medì di Genova, dove dirige la rivista Mondi Migranti e la Scuola estiva di Sociologia delle migrazioni.