Il boom demografico e lo sviluppo incontrollato delle grande città in Africa stanno provocando grossi problemi di approvvigionamento idrico per le popolazioni metropolitane. E i cambiamenti climatici rendono la situazione ancor più allarmante. Sarà proprio l’acqua a porre un freno a ritmi di urbanizzazione che sembrano inarrestabili?
di Federico Monica
File sterminate di taniche gialle si allineano ai bordi delle strade alla fine di ogni stagione secca. Sempre più lunghe e ogni anno in anticipo di qualche giorno o settimana. In alcune città l’attesa per riempire la propria tanica può protrarsi per ore: dai rubinetti o dai pozzi scende un filo debolissimo che potrebbe svanire da un momento all’altro costringendo tutti a spostarsi ad un’altra fontana più lontana.
Sono scene ormai all’ordine del giorno in moltissimi Paesi e i 20 litri al giorno pro capite individuati dall’ONU come standard minimo sono ben lontani dall’essere raggiunti non soltanto nelle aree rurali più remote e aride ma anche in tante città africane.
I cambiamenti climatici stanno esasperando una situazione resa già fragile dall’esplosione della popolazione e dai mancati investimenti nell’ammodernare e potenziare le reti idriche esistenti.
La crescita urbana infatti ha aumentato a dismisura il fabbisogno idrico non solo per dissetare le persone ma anche per garantire le produzioni agricole o industriali.
Senza contare gli sprechi: in Sudafrica, uno dei paesi più colpiti dalla crisi idrica, si calcola che oltre un terzo delle risorse d’acqua venga sprecato per le perdite negli impianti, in alcuni paesi dell’Africa occidentale come Ghana e Guinea si stima che le percentuali siano ancora maggiori e superino il 50%.
Quella dell’acqua è una maledizione che non si limita alla scarsa disponibilità delle falde e dei pozzi per periodi sempre più lunghi ma che per assurdo si ripropone nella stagione delle piogge con precipitazioni violentissime e abbondanti che mettono in ginocchio le reti di raccolta e smaltimento non di rado inquinando le fonti di acqua potabile.
Allagamenti, esondazioni o frane sono all’ordine del giorno e causano danni ingenti, come l’alluvione che ha colpito Brazzaville e Kinshasa soltanto una settimana fa che ha lasciato sul campo diverse vittime e ha causato il crollo di un ponte.
L’impermeabilizzazione del suolo e i disboscamenti dovuti alle nuove costruzioni o la mancanza di una corretta raccolta dei rifiuti per evitare che blocchino canali di scolo o alvei di torrenti aumentano i rischi di questi fenomeni.
Le risposte da parte di cittadini ed enti locali per fare fronte a questa emergenza ormai continua non mancano: le cisterne in plastica piccole e grandi che permettono di recuperare l’acqua piovana o di accumulare scorte per i momenti di siccità sono ormai un elemento tipico del paesaggio urbano, anche di fianco alle fontane pubbliche, in modo da essere riempite la notte riducendo così i prelievi nelle ore di punta durante il giorno.
Allo stesso tempo i programmi di rafforzamento delle infrastrutture e di lotta agli sprechi o agli allacciamenti abusivi proseguono facendo anche uso delle nuove tecnologie di mappatura digitale. Anche dal basso arrivano soluzioni fai da te per recuperare l’acqua o per limitare gli sprechi nelle attività quotidiane, come il sistema di tubi per permettere di raccogliere la pioggia anche a chi non può permettersi una cisterna sviluppato in Sudafrica. Nella storia dell’uomo il fluttuare della disponibilità d’acqua ha determinato enormi migrazioni e il declino di civiltà, toccherà la stessa sorte a molte città africane? Sarà proprio l’acqua a porre un freno a ritmi di urbanizzazione che sembrano inarrestabili?
L’autore dell’articolo, Federico Monica, architetto esperto di urbanistica africana, curerà il prossimo seminario di Africa rivista previsto il 27 e 28 marzo intitolato “L’Africa delle Città”.
Foto di apertura: lo slum di Makoko, a Lagos, sorge su una laguna insalubre (Petrut Calinescu/Panos/Luz)