di Angelo Ferrari
A due anni dalla scomparsa di Raffaele Masto, pubblichiamo per l’intera giornata di oggi, sul sito e sulla pagina Facebook della Rivista Africa, articoli e reportage del grande giornalista e scrittore, colonna storica della nostra rivista. Un’occasione preziosa per (ri)scoprire l’Africa di Raffa. Il primo contributo della giornata è il ricordo del direttore editoriale di africarivista.it, Angelo Ferrari, per fare luce sull’eredità che Raffaele ci ha lasciato
Ricordare un amico e un collega è sempre difficile. La paura è sempre quella di scadere nella retorica, oppure nel piagnucolio per la sua mancanza. In questa domenica, che precede il secondo anniversario della scomparsa di Raffaele Masto, forse, è utile tornare sull’eredità che ci ha lasciato. Che ha lasciato ai suoi amici, ai colleghi e anche ai lettori di Africa. Ecco perché riproponiamo alcuni dei suoi scritti che ci possono essere utili nel capire ciò che lo muoveva a raccontare un continente così vasto, non racchiudibile a una visione univoca. Non si può, e Raffaele non lo ha mai fatto, parlare di una sola Africa, ma di tante Afriche, meglio ancora di tanti Paesi, di numerosi popoli, culture, etnie, lingue. Non si può raccontare un’unica storia.
Ecco, Raffaele ha provato a raccontare le varie storie, fino all’ossessione di andare a scovare quelle dei singoli cittadini, unici ai suoi occhi e meritevoli di essere raccontati. Tutti, tutti coloro che riusciva a incontrare nei suoi viaggi. Potenti o meno che fossero, perché dietro ogni donna, ogni uomo, c’è sofferenza e speranza, si cela una unicità che non è assimilabile a un’altra, non può essere sovrapposta ma, semmai, costruisce una trama, un ordito che ti fa capire la complessità.
Raffaele non si limitava a raccontare un’unica storia perché raccontarla crea stereotipi. Perché? Il problema degli stereotipi non è tanto che sono falsi, ma che sono incompleti. Trasformano una storia in un’unica storia.
Per capire meglio cosa significhi “unica storia”, riporto un brano tratto da un libricino di Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana, intitolato “Il pericolo di un’unica storia”. L’autrice racconta che nell’anno in cui ha compiuto otto anni, i suoi genitori hanno “preso” in casa un nuovo domestico, Fide, e l’unica cosa che la madre racconta di lui è che la sua famiglia era molto povera. “Poi, un sabato, siamo andati in visita al villaggio di Fide – scrive Chimamanda Ngozi Adichie – e sua madre ci ha mostrato un cestino con bellissime decorazioni, in raffia colorata, fatto da suo fratello. Ero stupefatta. Non avrei mai pensato che qualcuno di quella famiglia fosse in grado di produrre qualcosa. Tutto ciò che avevo sentito di loro era quanto fossero poveri ed era diventato impossibile, per me, vederli come qualcos’altro, oltre che poveri. La loro povertà era la mia unica storia su di loro”.
Una piccola storia. Ma sono state, anche, le piccole storie che hanno caratterizzato lo sguardo e il lavoro di Raffaele. Credo che questa sia l’eredità più grande che ci abbia lasciato. E che in questa giornata diamo testimonianza. Raffaele era ben consapevole che la conseguenza di un’unica storia è quella di sottrarre alle persone la propria dignità, quasi non vi fosse una pari umanità. Sarebbe come dire che le speranze e i sogni di un qualsiasi africano non avessero la stessa dignità delle nostre speranze e sogni. L’unica storia esalta le nostre diversità piuttosto che le nostre somiglianze. E allora l’Africa non possiamo che guardarla con questi occhi.