di Ilenia Cassetta
È un quadro ancora sconfortante quello che emerge dall’ultimo rapporto diffuso da Amref sulla presenza del continente africano nei principali media italiani: di Africa si parla ancora poco, se ne parla in merito a pochi temi (in primis, emigrazione e sicurezza) e se ne parla il più delle volte secondo il nostro parziale occhio italo o eurocentrico.
La quarta edizione di “Africa MEDIAta”, redatta con il consueto supporto dell’Osservatorio di Pavia, è stata presentata giovedì a Roma, in un’affollata sala negli ampi spazi ristrutturati della stazione Termini, alla presenza di diversi ospiti che hanno commentato i risultati ottenuti dall’analisi di un anno di informazioni fornite dalle sei principali testate italiane (Avvenire, Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, Il Giornale, La Repubblica, La Stampa), dai principali telegiornali nazionali (Rai, Mediaset e La7) e dai maggiori programmi di informazione e intrattenimento delle reti generaliste, con una incursione anche nell’informazione online e nel mondo social.
“Stereotipi” è stata la parola con cui Paola Crestani, presidente di Amref Italia, ha dato avvio all’evento, “stereotipi che tutti, senza distinzione, portiamo con noi e che sono frutto”, dice Crestani, “di secoli di cultura razzista, resa necessaria per giustificare il dominio occidentale sulle popolazioni africane”. Ora, se vogliamo cambiare questa cultura, “dobbiamo anche cambiare la narrazione” e quindi, riflette Crestani, la comunicazione fatta attraverso i media, ricordando che tale è l’obiettivo che Amref, la più grande organizzazione non profit africana sulla salute (la sede è in Kenya), vuole raggiungere con le analisi di Africa MEDIAta.
E i dati dello studio dicono molto: la copertura data al continente sia nei quotidiani che nei telegiornali è scesa rispetto al 2021 (-22% nel caso dei notiziari) ed è rimasta centrata su cronaca, migrazioni, questioni sociali ambientate in Italia o nei Paesi occidentali. Sull’“Africa qui”, come la definisce il rapporto. Di “Africa là”, di notizie cioè inserite nella cornice africana, si è parlato molto meno e il più delle volte in relazione a guerre, terrorismo, migrazioni, politica (viaggi istituzionali da e per il continente). Sempre, cioè, secondo ciò che può risultare più interessante per il pubblico italiano. La situazione è la stessa quando si ragiona sui programmi televisivi di infotainment, dove si uniscono informazioni e intrattenimento.
È la proiezione della prossimità a cui ha accennato Paola Barretta, ricercatrice presso l’Osservatorio di Pavia, che ha sottolineato come, anche raccontando fatti che avvengono in suolo africano, si “scelgono” quelli che maggiormente sentiamo vicini, come la copertura data all’Angola soprattutto in virtù dell’interesse politico per la questione idrocarburi scoppiata in seguito alla guerra russa in Ucraina.
Barretta ha però posto l’accento anche su un altro punto del rapporto: come i media hanno affrontato il tema dell’innovazione in Africa. Un tema interessante per due motivi: per raccontare le innovazioni nel continente si deve dare luce a chi ha messo in piedi una startup o prodotto un’app, quindi si deve dare volto e parola ai protagonisti africani di queste piccole rivoluzioni. In secondo luogo, e come corollario, si devono sottolineare l’intraprendenza e le competenze locali, si deve dare “valorizzazione endogena”, dice Barretta, uscendo quindi dalla percezione di un continente “sotto tutela”, come ancora non di rado traspare. Anche sull’innovazione, tuttavia, si ripete la stessa lettura: nei programmi di infotainment, le parti informative dedicate al tema innovazione e sviluppo in Africa sono state appena il 6%. Nei media online e nei social (sono state prese in esame le edizioni online e le pagine facebook delle 62 principali testate giornalistiche italiane e degli organi di informazione dedicati all’Africa), la visibilità data all’innovazione è stata limitata quasi esclusivamente alle testate specializzate; spiccano Africa Rivista, Nigrizia e Agenda Digitale.
I media mainstream italiani, dunque, non offrono quegli strumenti necessari per capire davvero come sono i Paesi africani, come sono le popolazioni africane e dove stanno andando. Decostruire per costruire, hanno sintetizzato i relatori dal palco romano, per abbattere gli stereotipi e il corredo di falsità e contraddizioni che questi portano con sé. Come ha riassunto tra l’ilarità del pubblico l’artista congolese Nathan Kiboba: “Alcuni dicono che i neri non hanno voglia di lavorare. Bene. Altri però, se vedono che stai lavorando troppo, ti dicono: ‘Ma dai, cosa fai, lavori come un nero!’. Beh, decidetevi!”.