La recente proposta della Francia di investire un miliardo di euro per fabbricare una dozzina di nuove centrali nucleari entro il 2030 lascia emergere il dilemma della reperibilità di uranio. Stranamente, la Repubblica Democratica del Congo attualmente non figura in nessuna lista per la produzione di uranio. Eppure il Congo Belga ha giocato un ruolo essenziale nella fornitura di 1500 tonnellate al governo americano verso la fine della Seconda Guerra mondiale
di Alessandro Giraudo* – Amistades
La ricerca di un nuovo energy-mix rilancia la produzione dell’energia nucleare e la Francia sta facendo un forcing importante per convincere le istanze internazionali che l’energia atomica è «verde». La Francia produce il 67% dell’energia elettrica con le centrali nucleari che, però, stanno invecchiando e bisogna o chiudere i vecchi centri (con un grosso problema creato dal riciclaggio dei materiali) oppure ristrutturarle, oppure – come il presidente francese Emmanuel Macron ha recentemente annunciato – costruire nuove centrali nucleari. La proposta è quella d’investire un miliardo di euro per fabbricare una buona dozzina di nuove centrali entro il 2030. Sono di più piccole dimensioni e possono essere localizzate nelle regioni dove si anticipa una forte domanda di energia. Il primo prototipo, tuttavia, sarà disponibile solo fra una quindicina di anni, secondo le ricerche di Edf (Electricité de France). E, se il progetto va in porto, sarà operativo fra 20-30 anni.
Dalla padella alla brace?
Ma c’è un problema: chi produce l’uranio nel mondo? Kazakistan, Canada e Australia rappresentano l’offerta di due terzi dell’uranio mondiale. Il nuovo paradosso è rappresentato da un grave dilemma: per l’offerta di petrolio, il mondo è dipendente da tre Paesi che rappresentano ognuno un decimo della produzione mondiale (Arabia Saudita, USA e Russia), secondo le ultime statistiche dell’IEA e di BP-data. Nel caso dell’uranio, invece, il Kazakistan rappresenta il 40.80% dell’offerta, seguito dall’Australia (13%), dalla Namibia (11.3%), dal Canada (8.1%), dall’Uzbekistan (7.3%) e dal Niger (6.2%). Una domanda cattiva e perniciosa viene immediatamente alla mente: le prossime guerre calde saranno localizzate «nei pressi di queste regioni»?
Non a caso, la Francia ha in corso l’operazione militare Barkhane lanciata nell’agosto 2014 nel Sahel e nel sud del Sahara dall’esercito francese con un appoggio “secondario” di altri contingenti alleati. Ufficialmente l’operazione (costo almeno 600 milioni di euro/anno) ha l’obiettivo di lottare contro i gruppi salafisti e jihadisti di tutta la regione. Dopo il colpo di stato in Mali (due in 9 mesi) del 3 giugno di quest’anno, il presidente Macron annuncia la fine dell’operazione Barkhane e il progressivo ritiro delle truppe francesi. Ma a Parigi si dice chiaramente che l’interesse è il controllo dell’offerta di materiali fissili dei Paesi della regione. E infatti, dopo il primo produttore industriale mondiale di uranio che è kazako, c’è la società francese Orano, con sede à Levallois (banlieue di Parigi), che lavora molto uranio estratto nel Niger. Fra le grandi imprese che trasformano l’uranio figurano in seguito: Uranium One (Canada), CGK (Uk), l’uzbeka Navoi, la cinese CNNC, l’anglo-australiana Bhp (che ha ceduto recentemente una miniera di uranio in Australia alla candese Cameco), l’importante impresa canadese Cameco, la russa AMRZ, seguite da numerose società localizzate essenzialmente in Canada, Australia ed ex Paesi dell’URSS.
Dov’è finita la produzione congolese?
Stranamente, la Repubblica Democratica del Congo (Rdc) non figura in nessuna lista per la produzione di uranio e le statistiche relative alla produzione di oro, diamanti e coltan sono poco affidabili. Talvolta le statistiche ufficiali dei Paesi vicini sono proprio gonfiate dalle produzioni della Rdc. Ufficialmente, la grande miniera di Shinkolobwe è chiusa dall’inizio degli anni Sessanta ed è stata controllata dai militari dell’esercito congolese fino al 1997; ma si sa che i caschi (recipienti di piombo ed acciaio) in cui è trasportato il minerale d’uranio continuano a circolare e a essere negoziati, così come lo strano mescolio di rame e cobalto chiamato muchanga che esce dalle miniere abbandonate su dei camion di 20 tonnellate.
Eppure il Congo Belga (l’attuale Rdc) ha giocato un ruolo essenziale nella fornitura di 1500 tonnellate al governo americano verso la fine della Seconda Guerra mondiale. Questo minerale è stato estratto proprio nella miniera di Shinkolobwe.
Un duello all’ultimo atomo
Il duello fra Washington e Berlino per produrre un’arma nuova (bomba atomica) è stato discreto, silenzioso ma senza esclusione di colpi bassi. La “battaglia dell’acqua pesante” designa cinque operazioni militari successive lanciate dagli Alleati durane la Seconda Guerra Mondiale con l’obiettivo di distruggere il centro di produzione di acqua pesante localizzato in Norvegia (occupata dai nazisti). L’acqua pesante (ossido di deuterio) è l’elemento essenziale che svolge il ruolo di «rallentatore dei processi» nella fissione atomica. La quinta operazione dei commando si salda con una distruzione dell’impianto che frena fortemente il progresso della ricerca dei nazisti e sabota radicalmente il programma atomico di Hitler. Secondo le ultime ricerche storiche, i nazisti sono riusciti a realizzare delle mini-bombe atomiche sperimentate su dei prigionieri di guerra; tuttavia, queste armi non potevano esser operative a causa della mancanza di mezzi di trasporto per bombardare i nemici. Inoltre, numerosi alti militari tedeschi anticipano la fine del regime e quindi fanno di tutto per evitare l’utilizzo di queste armi che potrebbero scatenare una terrificante reazione alleata con numerosi bombardamenti catastrofici sulla popolazione del Paese. A questo proposito, alla fine della guerra nel Pacifico, i servizi segreti americani scoprono che gli scienziati giapponesi lavorano, anche loro, alla ricerca di una bomba atomica, ma i loro progressi sono fortemente in ritardo rispetto a quelli degli Usa e della Germania.
Il progetto Manhattan District e la miniera congolese di Shinkolobwe
Il 2 agosto 1939, Einstein, con alcuni altri scienziati, invia una lettera a presidente Roosevelt, in cui descrive in dettaglio il possibile impiego di una bomba atomica e definisce i mezzi per finanziare le ricerche. La risposta del presidente è rapida: nel mese di ottobre crea il Comitato Consultivo sull’Uranio. Lo spionaggio americano segnala che i tedeschi stanno lavorando su un progetto di bomba atomica. Allora Roosevelt firma il 28 giugno 1941 l’ordine OSRS e lancia un programma atomico il 9 ottobre 1941, quindi molto prima dell’entrata in guerra degli Usa contro il Giappone (8 dicembre 1941) e contro la Germania (11 dicembre 1941). Intanto scatta il programma ALSOS che deve raccogliere tutte le informazioni sul progresso degli studi atomici dei nazisti. Il progetto Manhattan District (in seguito chiamato semplicemente Manhattan) rende omaggio alle ricerche sviluppate a New York, all’Università di Columbia, nel settore delle conoscenze atomiche, ma di fatto la ricerca è realizzata in numerosi siti segreti attraverso gli Usa. I primi test atomici sono sperimentati a Los Alamos (New Mexico).
Gli Usa possono trovare del plutonio sul loro territorio e in Canada; invece dispongono di quantità troppo piccole di uranio. La migliore soluzione è quella di ottenerlo dalla miniera di Shinkolobve, localizzata nel Katanga, ex-Congo Belga. Il tenore della miniera è il più alto del mondo. Le spie americane dell’Oss (Office of Strategic Services), l’entità specializzata nello spionaggio che precede la Cia e la Nsa, operano sotto false identità; fingono di essere degli ornitologi, dei botanisti, dei mercanti di seta, di diamanti e degli impiegati della società petrolifera Texaco. Nessuna di queste spie conosce l’obiettivo finale delle loro azioni e utilizza dei nomi di codice (materie prime, diamanti, gemme, ecc.). Numerosi di questi uomini muoiono nei primi anni dopo la fine della Guerra di cancro ai polmoni a causa della loro esposizione alle radiazioni; anche i minatori e gli operai congolesi, non protetti nel loro lavoro, sono vittime di strane malattie e vari bambini nascono con delle deformazioni. Le stesse malattie falcidiano le spie naziste che operano nella zona e ritengono che la miniera lavori per gli Usa. Tutta la produzione è inviata negli Usa, sapendo che l’Union Minière (la proprietaria della miniera) ha già venduto importanti quantità d’uranio ai nazisti e che l’impresa belga ha “calorose” simpatie per il regime hitleriano.
Il lungo viaggio dell’uranio
L’uranio spedito negli Usa è trasportato per treno a Port-François, caricato su delle chiatte naviga sul fiume Congo e giunge a Léopoldville (attuale Kinshasa). È poi caricato sul treno che lo trasporta nel porto di Matadi; delle navi o gli aerei della PanAm lo trasportano fino a New York, dove è stoccato sotto il ponte di Bayonne Bridge. Finalmente è spedito, per treno, al Laboratorio di Los Alamos. La prima bomba atomica sperimentale al plutonio esplode il 16 luglio 1945 ad Alamagordo (New Mexico) con il nome di codice di Trinity. Eisenhower, MacArthur e tre importanti generali scoraggiano il nuovo presidente Truman (Roosevelt è morto 12 aprile del 1945) a utilizzare il bombardamento atomico del Giappone; essi stimano che Tokyo è pronta a capitolare. Ma il presidente dà l’ordine di bombardare Hiroshima (Little Boy, la bomba all’uranio esplode il 6 agosto) e Nagasaki (Fat Man, la bomba al plutonio esplode il 9 agosto; la bomba avrebbe dovuto colpire la città militare di Kokura, “risparmiata” dalle condizioni climatiche che rendono difficile la ricognizione). Truman vuole inviare un messaggio importante ai sovietici: devono comprendere che ora gli Usa sono la più grande potenza mondiale. Per molto tempo, la versione ufficiale del bombardamento è stata differente: le due bombe sono state sganciate per salvare la vita di molti soldati americani impiegati sul fronte del Pacifico.
La terza bomba prevista su Tokyo
Il lancio di una terza bomba atomica è previsto per il 19 agosto su Tokyo; ma il Giappone chiede la capitolazione il 15 agosto, firmata ufficialmente il 2 settembre. Fino a questa data, l’aviazione americana si tiene pronta a lanciare la terza bomba, infatti Washington teme un colpo di stato militare a Tokyo, secondo le informazioni dei servizi segreti. Il generale George Marshall, capo dello stato-maggiore delle forze americane (e anche l’uomo del famoso piano economico), chiede che le bombe atomiche (quelle operative e quelle in fabbricazione) siano messe in riserva per colpire degli obiettivi tattici in vista di una invasione del Paese nel caso in cui certi gruppi in Giappone dimostrino un comportamento fortemente anti-americano.
* Alessandro Giraudo è economista, vive a Parigi dove insegna Finanza Internazionale in una Grande Ecole. Ha scritto vari libri, fra cui due libri sulle Storie straordinarie delle Materie Prime, editi da ADD Editore, Torino. È docente nel corso SILENT MATTERS, organizzato dal Centro Studi AMIStaDeS.