di Valentina Milani
Circa il 20% del pesce pescato illegalmente nel mondo proviene dalle acque territoriali di sei Paesi dell’Africa occidentale, secondo un rapporto pubblicato di recente da Investigative Journalism Reportika (Ij-Reportika), una rete internazionale di giornalisti investigativi. I Paesi in questione sono Mauritania, Senegal, Gambia, Guinea-Bissau, Guinea e Sierra Leone.
La pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (Inn) non solo colpisce le economie di questi Paesi, ma anche la pesca artigianale e i milioni di famiglie che ne traggono sostentamento. Nei sei Paesi dell’Africa occidentale con le risorse ittiche più saccheggiate al mondo, la perdita di entrate è stimata in circa 2,3 miliardi di dollari all’anno e circa 300.000 posti di lavoro.
Il rapporto, che si basa su indagini sul campo e sul monitoraggio satellitare della principale flotta di pesca d’altura (Dwf), rileva che la pesca illegale in Africa occidentale è in gran parte praticata da pescherecci a strascico cinesi.
La flotta cinese di pesca d’altura comprende grandi pescherecci a strascico e palangari. Sebbene la Cina non sia l’unico Paese al mondo impegnato nella pesca illegale, sono le dimensioni e il modus operandi della flotta cinese a rappresentare una delle principali cause di distruzione degli ecosistemi marini. Pechino dichiara ufficialmente una flotta di pesca d’altura di soli 2.500 pescherecci, ma studi seri condotti da Ong suggeriscono che ci sono più di 18.000 grandi pescherecci cinesi che solcano gli oceani e i mari di tutto il mondo.
In Africa, America Latina e Oceano Indiano, la maggior parte di questi pescherecci cinesi è impegnata nella pesca a strascico, una forma di pesca estremamente distruttiva che raccoglie tutto ciò che incontra ed è in gran parte responsabile della quasi totale scomparsa di pesce nelle acque nazionali cinesi.
Mentre raschiano illegalmente i fondali di un Paese, queste imbarcazioni disattivano il loro sistema di identificazione automatica (Auis), un dispositivo che fornisce informazioni sulla loro identità, stato, posizione e rotta per una media di almeno 8 ore. Alcune navi operano addirittura sotto la bandiera del Paese ospitante quando entrano nelle sue acque territoriali per evitare di essere registrate dall’Ais. Ad esempio, le navi “Yu Feng 1, 3 e 4” battono bandiera cinese quando si trovano in acque internazionali, prima di operare sotto la bandiera ghanese quando pescano nella Zona economica esclusiva (Zee) del Ghana.
In Africa occidentale, i reporter di Ij-Reportika hanno scoperto che i pescherecci cinesi impegnati nella pesca illegale sono coinvolti anche in altre attività illecite, come il traffico di specie animali africane utilizzate nella medicina cinese e nella produzione di fentanil, un potente oppioide sintetico il cui uso improprio come droga porta spesso a overdose e morti.
Il rapporto riferisce inoltre che la pesca illegale da parte della Cina non è limitata alle coste dell’Africa occidentale. Essa interessa anche molti Paesi costieri del continente, tra cui Camerun, Repubblica del Congo, Gabon, Nigeria, Sudafrica, Namibia, Costa d’Avorio e Liberia.
Nella zona economica esclusiva del Sahara occidentale, ad esempio, i pescherecci a strascico e i pescherecci con palangari battenti bandiera cinese hanno pescato per oltre un milione di ore nel 2022.
Gli Stati insulari dell’Oceano Indiano come Seychelles, Mauritius e Madagascar non sono da meno. Secondo i dati della piattaforma di monitoraggio satellitare OceanMind, 132 imbarcazioni battenti bandiera cinese hanno operato nella zona economica esclusiva del Madagascar tra il 2019 e il 2021.
Questa pesca illegale porta spesso a scontri tra i pescatori africani e gli equipaggi cinesi. Nel 2020, tre pescatori mauritani sono morti quando la loro piroga è stata colpita da un grosso peschereccio cinese. Negli ultimi anni ci sono state anche numerose manifestazioni di comunità di piccoli pescatori in Senegal, Ghana, Sierra Leone, Guinea, Nigeria, Gambia e Togo, che hanno protestato contro la perdita dei loro mezzi di sostentamento e i danni ambientali causati dalla flotta cinese di pesca d’altura.
Con poche eccezioni, i governi africani sono impotenti a combattere le attività illegali delle navi cinesi, sia perché non vogliono mettere a rischio i finanziamenti che ricevono da Pechino, sia per i miseri mezzi di sorveglianza a loro disposizione.