di Claudia Volonterio
In tutto il mondo, le lingue parlate assumono il duplice ruolo di connettore sociale e di veicolo culturale. Nel continente africano si parlano centinaia di lingue, a loro volta adottate da milioni di persone, che spaziano dalle cosiddette “lingue locali” a quelle inglobate dai colonizzatori. Questa presenza multiforme e stratificata rende il loro uso, significato e diffusione ancora più complesso e simbolico. Non può passare inosservato dunque, oltre a indurre ad una riflessione, la recente aggiunta da parte del celebre colosso tecnologico Google di ben ventiquattro nuove lingue nel servizio di traduzione istantanea, dieci delle quali sono africane.
Alla luce di ciò, possiamo affermare che le barriere linguistiche della comunicazione nel continente sono sempre più sottili. Le novità introdotte da Google Translate includono il Lingala, diffuso e parlato da ben quarantacinque milioni di persone in Africa centrale; Oromo, parlato da trentasette milioni di persone in Etiopia e Kenya; Ashanti Twi, mezzo comunicativo per undici milioni di persone in Ghana; tigrino, parlato da otto milioni di persone in Etiopia ed Eritrea; Sepedi, lingua usata da quattordici milioni di persone in Sudafrica. All’elenco si sono aggiunte anche Bambara, Jeje, Krio, Luganda e Tsonga.
L’ingegnere del software, Isaac Caswell, ha specificato in un’intervista che, per la prima volta, il celebre gigante tecnologico si è servito di un modello di intelligenza artificiale che ha imparato le lingue “da zero”. Si tratta di un modello neurale, noto anche come modello di apprendimento automatico.
Il software ha avuto bisogno anche di un occhio non artificiale: la società afferma infatti di aver consultato i rappresentanti delle diverse comunità prima di rilasciare ufficialmente le nuove lingue. La tecnologia, per quanto accurata, presenta dei limiti. “Per molte delle lingue supportate, anche le più importanti e diffuse, come Yoruba o Igbo, la traduzione non è eccezionale. Sicuramente trasmette l’idea, ma spesso si perde gran parte della sottigliezza del linguaggio”, ha affermato Caswell.
Il riconoscimento di queste lingue è una conquista che avrà risvolti sul piano pratico, poiché consentirà di colmare un divario e una distanza comunicativa ma, il significato più profondo è forse riservato alla parte simbolica. Riconoscere una lingua significa infatti legittimarla, conferendo un valore alla cultura nella quale questa lingua è calata. Tale processo si sta facendo strada grazie alla tecnologia, ma non solo. Il mese scorso, per esempio, il timazigh ha fatto il suo ingresso nel Parlamento marocchino. Questo significa che, sia in occasione delle sessioni plenarie settimanali in cui si tengono le interrogazioni orali, sia durante le interrogazioni rivolte al capo del governo, la prima Camera potrà contare su una traduzione simultanea dall’arabo alla lingua timazigh, detta anche “berbera” e viceversa. Si tratta di una lingua parlata in Marocco da almeno un quarto della popolazione. Questo ultimo traguardo è una grande conquista, dopo anni di lotte con un’amministrazione che tendeva a privilegiare arabo e francese. Il tamazigh sarà utilizzato anche per comunicati stampa e per i trasporti pubblici.
Un segnale positivo per la difesa e la valorizzazione delle lingue africane è arrivato di recente anche da Oxford. La prestigiosa Università inglese ha implementato la sua offerta educativa con un corso di lingua igbo, diffusa e parlata dagli abitanti delle regioni sud-orientali della Nigeria. Emmanuel Ikechukwu Umeonyirioha è il professore nominato da Oxford come primo docente di lingua igbo.
Sempre in ambito accademico citiamo anche l’importante contributo del matematico mauritano Hammadi Faalil Sih (Mouhamadou Falil Sy), il quale si è lanciato nell’impresa di realizzare un nuovo libro di matematica interamente in lingua pulaar-fulfulde, ovvero la lingua parlata dai peul o fulani, ad indicare il contributo della lingue africane verso la promozione delle scienze. “Ñoggannde Silo Hissiwo” è il titolo dell’opera che, accanto alla precedente opera di Sy, “Binndanɗe Hiisankooje” contribuiscono a rendere la matematica più accessibile. Oltre alle scienze, sempre in difesa e valorizzazione della medesima lingua, parlata tra Guinea, Senegal e altri stati dell’Africa Occidentale da circa sessanta milioni di persone, segnaliamo anche la traduzione in lingua pulaar fulfulde del Corano. Per il momento si tratta della versione accessibile online, un’aggiunta frutto del progetto dell’associazione Islam House, che aveva già provveduto in precedenza a tradurlo in altre ventitré lingue, tra cui il kiswahili. Il gruppo conta di rendere disponibile al più presto anche la versione cartacea del Corano in pulaar.
Il primato per la lingua più parlata nel continente va al kiswahili, riconosciuta come lingua ufficiale a febbraio. Secondo l’Onu le origini questa lingua, parlata da ben duecento milioni di persone, sono da ritrovare in Tanzania, dove oggi è annoverata come lingua ufficiale. Si tratta in gran parte di un mix di lingue bantu locali e arabo. L’ex presidente della Tanzania, Mwalimu Julius Nyerere, aveva definito il kiswahili uno strumento importante nella lotta per l’indipendenza e per unire il Paese.
Da Google al mondo culturale e istituzionale, qualcosa sta cambiando. L’Africa parla sempre di più la “sua” lingua.