Il coronavirus è arrivato in Africa. L’Egitto ha dichiarato di aver individuato il primo caso di contagio. Secondo il ministero della Salute, la persona colpita è straniera. Ma non è stato indicato in quale ospedale e in quale città questa persona sia stata ricoverata. «Vogliamo evitare il diffondersi del panico – ha detto un portavoce del ministero -. È corretto però che si sappia che abbiamo approntato tutte le misure sanitarie necessarie e imposte dai protocolli internazionali».
«Il rischio e la probabilità di avere un’epidemia in Africa sono molto, molto alti», ha dichiarato Ambrose Talisuna, responsabile del team dell’Organizzazione mondiale della sanità che si occupa delle emergenze nel continente. Per questo motivo, da qualche settimana, i sistemi sanitari africani si stanno preparando alla nuova minaccia proveniente dalla Cina (dove ha già fatto più di 1.400 morti). Pazienti sospettati di aver contratto il coronavirus sono stati messi in quarantena in Etiopia, Kenya, Costa d’Avorio e Botswana.
L’Oms ha varato un piano, che prevede lo stanziamento di 675 milioni di dollari per il periodo febbraio-aprile 2020, per proteggere gli Stati con sistemi sanitari più deboli. Oltre alla Cina questi fondi saranno diretti ad Algeria, Angola, Costa d’Avorio, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Ghana, Kenya, Mauritius, Nigeria, Sudafrica, Tanzania, Uganda e Zambia. Tutti Paesi che, tra l’altro, hanno stretti contatti con Pechino.
«Sappiamo che questi sistemi sanitari sono fragili e sono già alle prese con numerose epidemie. Per noi, è fondamentale rilevare il coronavirus il prima possibile in modo tale che si possa prevenire la diffusione all’interno delle comunità», ha affermato Michel Yao, responsabile del programma Oms per le operazioni di emergenza in Africa.
La strategia è quella di preparare i Paesi, fornendo loro consulenza su come limitare la trasmissione da uomo a uomo, garantire che i sistemi sanitari abbiano la capacità di isolare e fornire un trattamento adeguato alle persone colpite.
L’Africa Centers for Disease Control and Prevention (Africa Cdc) ha istituito la Task Force Africa e sta lavorando con l’Oms sulla sorveglianza, compreso lo screening ai punti di ingresso nel continente, la prevenzione delle infezioni e il controllo nelle strutture sanitarie, la gestione delle persone con grave infezione 2019-nCoV, la diagnosi di laboratorio, la comunicazione del rischio e il coinvolgimento della comunità.
Il direttore dell’Africa Cdc, John Nkengasong, ha delineato la minaccia per l’Africa rappresentata da 2019-nCoV: «Questa patologia rappresenta una grave minaccia per le dinamiche sociali, la crescita economica e la sicurezza dell’Africa. Se non rileviamo e conteniamo in anticipo focolai di malattia, non possiamo raggiungere i nostri obiettivi di sviluppo».
Agli operatori sanitari è stato insegnato come comportarsi di fronte a persone con infezione sospetta o confermata. Sono stati inoltre istituiti team di gestione dell’incidenza nel Paese.
Anche nei Paesi in cui vi è instabilità, come il Sud Sudan, sono stati elaborati meccanismi di coordinamento per raggiungere operatori sanitari e pazienti. «Grazie a ebola- ha detto Yao -, la maggior parte dei Paesi dispone di infrastrutture di isolamento. Stiamo spingendo affinché il continente sia molto vigile».
L’Istituto nazionale per le malattie trasmissibili del Sudafrica e l’Istituto Pasteur del Senegal sono stati i primi laboratori di riferimento nel continente e quindi erano responsabili del test di campioni provenienti da altri Paesi africani. Successivamente anche altri paesi, Ghana, Madagascar, Sierra Leone e Nigeria, hanno approntato strutture in grado di eseguire test da soli. A partire dal 10 febbraio una decina di Paesi erano in grado di testare il virus.
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