di Marta Sachy
Si susseguono i riconoscimenti letterari, anche di prima grandezza, ad autori e autrici africani. L’editoria italiana fatica ancora a seguire adeguatamente i nuovi sviluppi; c’è comunque di che ingombrare i nostri comodini – e aprire le menti
Essere afropolitan in Italia significa mediare tra passato e futuro, tra continenti diversi e numerosi gruppi sociali, partendo dalla propria nerezza. Siamo la sovrapposizione di diverse identità sociali, soggetti transculturali. Molti di noi hanno deciso di non essere schiavi di una sola storia, ma somma di varie. Mio marito mi prende in giro dicendo che a seconda di come mi sveglio sono italiana, mozambicana o brasiliana (più precisamente, baiana, ossia di Salvador di Bahia, la città più nera fuori dall’Africa), lecchese o romana, africana o europea, o afroitaliana.
Nel tempo, per rispondere alla mia complessità ho imparato a spulciare per arricchire la mia cultura africana tra film e libri. Il 2021 è stato un anno di grandi successi per la letteratura africana: sono stati conferiti ad autori africani tre premi internazionali di enorme prestigio. Il Nobel è stato assegnato a Abdulrazak Gurnah, tanzaniano (nella foto), che pochi di noi conoscevano. Invito a leggere i suoi libri, che ricalcano temi di attualità quali il colonialismo e i rifugiati, le relazioni tra culture e continenti. Damon Galgut, sudafricano, ha vinto il Booker Prize con La Promessa, e Mohamed Mbougar Sarr, senegalese (classe 1990!), con La plus secrète mémoire des hommes ha ricevuto il francese Goncourt. La scorsa estate David Diop si è aggiudicato l’International Booker Prize con Fratelli d’anima. E la querida Paulina Chiziane ha vinto il Camões, premio per gli autori di lingua portoghese. Il 2022 si è aperto bene per gli afrodiscendenti: a Caleb Azumah Nelson, scrittore e fotografo britannico-ghanese, è andato il Costa First Novel, uno dei premi più prestigiosi in Gran Bretagna.
Scrive Ben Okri che la letteratura africana sta conquistando il mondo. Okri mi trova totalmente d’accordo quando esprime la speranza che il successo internazionale faccia crescere l’editoria e il numero di lettori anche nel continente. Soprattutto condivido con lui che questo movimento letterario possa contribuire al superamento della “tirannia della storia ufficiale” e a dar voce a chi le cose le ha vissute, prima di raccontarle dalla propria prospettiva. L’editoria italiana fatica ancora a intercettare appieno le potenzialità di questi nuovi sviluppi, con il risultato che alcuni titoli degli autori premiati sono fuori catalogo; ben che vada, sono in fase di traduzione.
A novembre è stato pubblicato in italiano Africani europei. Una storia mai raccontata di Olivette Otele (v. Africa 1/2022). Di Kibra Sebhat e Viviana Mazza è uscito Io dico no al razzismo, che ci mostra come i pregiudizi alla base del razzismo siano ben più diffusi di quanto non si creda, e che ci guida per una via differente, che vede nella diversità una ricchezza, nella convivenza un obiettivo necessario, nell’antirazzismo l’unica risposta possibile. E Igiaba Scego, dopo la potente antologia Africana curata con Chiara Piaggio – che racconta la pluralità delle varie Afriche con freschezza letteraria, giovane e creativa – ha vinto il premio Koinè con Figli dello stesso cielo. Quest’ultimo è un dialogo immaginario tra lei, italiana di origine somala, e il nonno che non ha mai conosciuto, che visse il colonialismo italiano in Somalia.
Intanto sta per uscire negli Usa Contesting Race and Citizenship di Camilla Hawthorne, ricercatrice italo-statunitense nera, che parla di migrazione, mobilitazione politica, cittadinanza e giustizia razziale. Grandi autori che dai nostri comodini e librerie possono contribuire a sviluppare un’attenta percezione del mondo che ci circonda.