Viaggio alla scoperta della capitale economica della Nigeria. Tra strade affollate, mercati brulicanti, startup tecnologiche, eventi di cultura e di spettacolo. Una megalopoli di grandi contrasti e contraddizioni, sospesa tra la paura del tracollo e la voglia di stupire.
L’abbraccio di Lagos toglie il respiro. Non è solo per la sua collocazione geografica, nell’angolo formato dal Golfo di Guinea, se la chiamano “l’ascella dell’Africa”. Sceso dall’aereo, in un attimo gli indumenti sono zuppi di sudore. Non va meglio nell’aeroporto. Il climatizzatore si è guastato e gli addetti all’immigrazione boccheggiano, senza neppure la forza di chiedere la consueta «mancia per una birra». Le ultime energie della giornata le usano per imprimere il timbro sul passaporto: «Welcome to Nigeria», sbuffano.
Fino a non molto tempo fa, chi approdava a Lagos era terrorizzato dall’anarchia che regnava nel suo scalo internazionale. Truffatori e borseggiatori… E doganieri che imponevano tasse inesistenti per far passare valigie che poi venivano spesso saccheggiate da banditi travestiti da facchini o da tassisti. Oggi i cambiavalute si avvicinano con rotoli di biglietti lerci: «Ti serviranno subito». Indicano gli addetti al controllo bagagli che infieriscono sui viaggiatori esausti, costringendoli ad aprire trolley stipati all’inverosimile. «Se non vuoi passare le ore a smembrare confezioni di medicinali o srotolare calzini, ti conviene allungare una banconota», mi viene consigliato. Non ce n’è bisogno: la direzione dello scalo è riuscita a ridimensionare i taglieggiamenti dei dipendenti.
Cattivi maestri
Le ruberie proseguono fuori, e a ben altri livelli. Ascolto il giornale radio sull’auto di Ashamu, la mia guida, mentre cerchiamo di aprirci un varco tra i veicoli all’uscita del parcheggio: «Dalle casse dello Stato di Benue sono sparite 70 milioni di naire destinate alle scuole pubbliche, mettendo a rischio lo svolgimento degli esami di fine anno – annuncia lo speaker –. Il portavoce del governatore ha dichiarato che il malloppo è stato ingoiato nella notte da alcuni serpenti introdottisi furtivamente nella cassaforte. L’episodio ricorda quanto accaduto lo scorso mese nello Stato di Kaduna, quando sparirono 30 milioni di naire. Le indagini delle autorità portarono allora alla conclusione che il furto era stato commesso da un gruppo di scimmie moleste».
Ashamu ascolta e scuote la testa. «Ci trattano come un popolo di cerebrolesi! – sbotta – Da decenni i nostri politici saccheggiano impunemente il Paese. Il messaggio che comunicano è chiaro: i furbi trovano il modo di aggirare le regole e se ne infischiano del danno alla collettività. Il risultato lo vedi coi tuoi stessi occhi». La strada è un far west dove nessuno rispetta il codice. I fischietti dei vigili non hanno alcun potere, non veicolano nessun senso di autorità: sono parte attiva della baraonda. Ad alimentare l’ingorgo sono proprio uomini in divisa che impugnano grossi bastoni e li fanno roteare in aria come samurai con le loro catane. Sbraitano, intimano agli automobilisti di fermarsi, non ottenendo soddisfazione infieriscono sulle carrozzerie. «Sono impostori che si spacciano per poliziotti e vogliono solo il pizzo», chiarisce il mio autista.
Tutti in coda
A complicare la viabilità c’è il fatto che Lagos sorge su una laguna e si estende tra la terraferma e alcune isole protese verso l’oceano. Per muoversi bisogna infilarsi su lunghi ponti (il Third Mainland Bridge misura quasi 12 chilometri) che nelle ore di punta diventano imbuti intasati. Si procede a passo d’uomo, le mani inchiodate sul clacson, in una bolgia di lamiere ammaccate e tubi di scarico che sbuffano veleni. I minibus gialli (i danfo) stipati di pendolari sembrano mattoncini Lego incastrati fra loro. Sciami di mototaxi (okada) e di Apecar (maruwas) in cerca di vie d’uscita ronzano come insetti fastidiosi tra gli automobilisti: salgono sui marciapiedi, sfiorano collisioni, raccolgono insulti e maledizioni. «È una giungla – sospira rassegnato Ashamu –. Non puoi mai abbassare la guardia. A fine giornata è come avessi combattuto cento battaglie, tanta è la fatica che mi sento addosso».
Lungo il serpentone di macchine s’infilano anche gli ambulanti con ogni genere di mercanzia: materassi, quadri, mappamondi, appendiabiti, asciugamani, lenzuola, biscotti, bibite fresche, dvd, creme sbiancanti, batterie, occhiali da sole, chips di plantano, caschi di banane, set completi di chiavi da meccanico, wc e vasche da bagno, canarini e tartarughe da compagnia, pesci gatto affumicati da cucinare. È come trovarsi in un centro commerciale senza scaffali e con un’unica corsia lunga decine di chilometri. Il traffico paralizzato, a ben guardare, mette in moto il commercio, crea posti di lavoro e offre opportunità di guadagnarsi la giornata.
Un grande teatro
I predicatori sfilano con la Bibbia in mano alla ricerca di offerte e discepoli, i mendicanti battono su lattine arrugginite per attirare l’attenzione, i meccanici itineranti si sbracciano per offrire un rabbocco d’olio o un’aggiunta di acqua nel radiatore. Miriadi di voci e di motori si intrecciano all’onnipresente frastuono dei generatori che alimentano le casse acustiche di negozi e chiese pentecostali, in un bailamme che sembra far tremare la terra.
La concentrazione di umanità in alcuni momenti pare insostenibile. Si stima che a Lagos vivano ventidue milioni di persone, ma nessuno sa davvero quanti siano i disperati ammassati nei vasti slum che assediano i quartieri residenziali. A uno sguardo inesperto, la folla brulicante e chiassosa può sembrare uno tsunami in procinto di devastare tutto. Dal finestrino vedo mercanti sgomitare per contendersi i clienti, auto che fanno a sportellate per non cedere la posizione, capannelli di persone che discutono animatamente e sembrano sull’orlo della rissa. Qui sembra esserci una propensione innata per i dibattiti urlati. Se scoppia un battibecco, la gente attorno s’intromette senza indugio: non per sedare la lite bensì per parteciparvi e alimentarla. I passanti – uomini e donne – intervengono con veemenza in difesa di uno dei contendenti: si accalorano, inveiscono, minacciano e strepitano, con le vene del collo gonfie e gli occhi iniettati di sangue. Ma, come tempeste tropicali, le risse nigeriane scoppiano e svaniscono in un attimo, terminando spesso a pacche sulle spalle e sonore risate. «Non farti intimorire da quello che vedrai: in fondo è solo un grande teatro», mi aveva avvertito un amico nigeriano alla vigilia del mio viaggio. «Per sopravvivere a Lagos bisogna sapersi adattare, e soprattutto avere molta pazienza e senso dell’umorismo».
Demografia galoppante
La metropoli più grande d’Africa continua a gonfiarsi a ritmi impressionanti. Ogni settimana si contano diecimila nuovi cittadini. Nel 2050 la popolazione sarà raddoppiata. Contadini yoruba e ibo lasciano i loro villaggi inseguendo un sogno. Famiglie hausa e fulani fuggono Boko Haram che semina il terrore nel Nord. Nessuno si preoccupa di gestire questo afflusso. Non c’è vera pianificazione, solo lottizzazione abusiva e urbanizzazione selvaggia. Gli ultimi arrivati tirano su baracche di lamiera a ridosso delle discariche o stamberghe di legno su palafitte che poggiano su un mare di melma e rifiuti.
La pressione demografica riduce gli spazi. I ragazzi giocano a pallone sotto i piloni dei viadotti. I sarti stirano gli abiti con ferri a carbonella al centro delle rotatorie. Le parrucchiere intrecciano ciocche di capelli nelle aiuole spartitraffico, a pochi passi dai chioschi che vendono carne alla griglia e pannocchie abbrustolite. Dove oggi c’è l’asfalto di tangenziali e sopraelevate, un tempo prosperavano mangrovie, palme da olio e alberi da frutta. Nei canali, in passato si pescavano tilapie e gamberi: ora si raccoglie sabbia per nuove costruzioni.
Fame di terra
La città è cresciuta attorno al suo porto (originariamente utilizzato dagli europei per imbarcare gli schiavi). La Nigeria è il primo esportatore africano di petrolio e il boom del greggio degli anni Settanta ha dato il via alle colate di cemento degli speculatori. «Due terzi della popolazione di Lagos vive in baraccopoli sotto la minaccia quotidiana degli sgomberi», racconta Samuel Akinrolabu, portavoce della Nigerian Slum/Informal Settlement Federation. «Negli ultimi anni, almeno quaranta comunità sono state sfrattate con l’uso della forza». Si abbattono decine di migliaia di baracche per aprire cantieri destinati a una ristretta élite di uomini d’affari, esponenti dell’establishment politico e finanziario. Nella zona chic di Victoria Island sta crescendo una sorta di Manhattan, i cui grattacieli modificheranno lo skyline della città e renderanno ancor più stridenti i contrasti.
A Lagos puoi vedere una fiammante Limousine sfiorare dei ragazzi di strada che rovistano nei canali di scolo traboccanti di immondizia. A poca distanza da Makoko, il ghetto dove la gente convive con topi e zanzare, giovani ubriachi di soldi sorseggiano Champagne a bordo piscina in un lussuoso residence, sorvegliati da guardiani armati e protetti da alti muri sormontati da filo spinato e cocci di vetro. Sage Hasson, poeta nigeriano che dalla quotidianità di Lagos trae ispirazione per i suoi versi, sintetizza: «Siamo come granchi in un secchio. Chi non ce la fa a uscire fuori, tira giù gli altri».
Cattiva reputazione
I lagosiani provano per la loro città un sentimento controverso che oscilla perennemente dall’amore incondizionato all’imbarazzo, fino all’odio viscerale. A irritare, c’è tutto ciò che ne alimenta la pessima reputazione: caos, corruzione, sporcizia e soprattutto insicurezza. La criminalità riempie ogni giorno le pagine della cronaca nera. Il principale giornale online della Nigeria, naija.ng, dà notizia di una sconcertante ondata di «omicidi rituali» – le vittime, a decine, sono donne e bambini – compiuti dai membri di una setta segreta nota come “Badoo”. Sulla prima pagina del quotidiano Vanguard si racconta di due ragazzini bruciati vivi dalla folla perché colti a rubare frutta in un mercato. Il Daily Post torna a parlare di una misteriosa epidemia di “furti di pene”: «Decine di cittadini hanno denunciato di aver subito sortilegi che hanno causato il restringimento o la scomparsa dei genitali».
Ogni minuto viene notificato un reato di strada, ogni giorno si registrano cinquanta rapine e furti di appartamento. E gran parte dei reati non viene denunciata. Gang violente di ragazzini (gli Area Boys) controllano e taglieggiano interi quartieri, mafie conniventi con il potere politico prosperano sullo spaccio e la ricettazione, società specializzate nelle truffe online o nella contraffazione (di abiti, cibo e farmaci) alimentano un’economia malata in cui sguazzano faccendieri di ogni genere.
Cultura e affari
Lagos riserva però sorprese di segno opposto e, a dispetto delle sue contraddizioni, emana un suo fascino. La sua vita culturale e notturna non ha nulla da invidiare alle grandi città occidentali. La classe media locale, gaudente e festaiola, adora i piaceri della vita mondana. Ogni sera si tengono concerti rap o high-life in locali affollati di giovani, ma anche mostre d’arte e di fotografia in raffinate gallerie, e incontri con poeti e scrittori in librerie e centri culturali. A Lagos non c’è modo di annoiarsi. Si può scegliere tra un party in discoteca con un deejay famoso e l’inaugurazione di una boutique, tra uno spettacolo di danza classica a teatro e il cooking show di uno chef in un ristorante esclusivo, o, in alternativa, una serata a base di birra, buona musica e afrori di marijuana tra i tavoli del New Africa Shrine, lo storico locale fondato da Fela Kuti, compianto padre dell’afrobeat. Non c’è miglior palcoscenico in Africa dove possano mettersi in luce i talenti emergenti della musica, della letteratura, della drammaturgia e del cinema.
La rappresentazione plastica della doppia personalità di Lagos si trova a Tinubu Square, una piccola piazza dove c’è la statua di bronzo di un uomo vestito di stracci intento a leggere un libro. Ai suoi piedi, una scritta: «La conoscenza è potere»… A ricordare che Lagos è una città di slum e cultura. Nonché capitale africana dell’innovazione tecnologica, come dimostra il proliferare di incubatori, startup e hub creativi che sfruttano le potenzialità della rete per avviare nuovi business e creare centri d’eccellenza.
«Se Lagos fosse una donna…»
La ricerca dell’eleganza è un tratto distintivo dei lagosiani, di qualsiasi ceto sociale. Anche nei sobborghi più miserabili, la domenica i fedeli cristiani ostentano abiti e cappelli degni di un red carpet. E cinture luccicanti, orologi grandi come arance, scarpe in pelle di coccodrillo, acconciature appariscenti e parrucche dai colori improbabili. Il gusto di sbalordire spinge a esagerare e a circondarsi di oggetti kitsch: per strada si vedono utilitarie con bandierine di rappresentanza, sedili in velluto e tappetini di pelliccia sul cruscotto. I salotti delle abitazioni vengono addobbati con luci stroboscopiche, decorazioni natalizie e gigantografie dei padroni di casa. Quando cercavo su Airbnb un posto per dormire a Lagos, ho prenotato da un tizio che offriva a buon prezzo «un tipico e accogliente alloggio nigeriano»: la stanza aveva un letto king size con materasso ad acqua e incorniciato da strisce led; in bagno, una tivù al plasma appesa davanti al wc.
Illuminante la metafora della scrittrice Noo Saro-Wiwa: «Se Lagos fosse una donna sfoggerebbe una giacca di Gucci, avrebbe extension da quattro soldi, un cellulare in mano, un altro nella tasca posteriore e l’aria più crucciata del mondo. Spazientita, ti farebbe entrare in casa sua a una cifra esorbitante per poi sbatterti a terra perché ci hai messo troppo tempo. “Questa” ti direbbe con un ringhio frugandoti le tasche in cerca di altro denaro “è Lagos”».
(Marco Trovato)