L’agricoltura africana, sempre più urbana sempre più creativa

di AFRICA

Dai programmi di sviluppo fino alle riviste patinate di tendenza, dalle periferie di Kinshasa agli attici borghesi di mezza Europa, il decennio appena concluso è stato segnato dal mito dell’agricoltura urbana. Una pratica green e sostenibile che si è diffusa rapidamente a tutte le latitudini e che in molti hanno indicato come possibile soluzione al problema della sicurezza alimentare nel continente africano. Eppure nelle città africane, in cui si è abituati da sempre a sfruttare al massimo gli spazi liberi o inutilizzati e a diversificare il più possibile le fonti di reddito o di approvvigionamento alimentare, questa attività non è certo nuova.

I pionieri dell’agricoltura urbana

A Bamako le rive del Niger sono diligentemente coltivate anche a pochi metri dal palazzo presidenziale, a Freetown si utilizzano le aree libere ai margini dei cimiteri mentre i bas-fonds di Yaoundè, strette valli che sembrano convergere verso il centro, sono da sempre un luogo ideale per l’agricoltura e riforniscono di ortaggi le venditrici informali di molti mercati della città. Città che crescono vertiginosamente hanno bisogno di quantità di cibo sempre maggiori e l’approvvigionamento alimentare è una sfida notevole, con pesanti implicazioni su infrastrutture, ambiente e potere di acquisto delle famiglie. Proprio grazie alla domanda incessante di cibo a prezzi contenuti l’agricoltura urbana non conosce crisi e solo in piccolissima parte è utile alla sussistenza delle famiglie di coltivatori. In alcuni quartieri periferici di Kampala le famiglie che praticano una qualche forma di coltivazione raggiungono addirittura il 90% mentre a Dar es Salaam l’agricoltura urbana è la seconda industria della città per numero di occupati e copre il 60% dell’economia informale. Si calcola che nei mercati di Nairobi, ad esempio, quasi la metà delle verdure a foglia in vendita siano state coltivate all’interno dei confini della città; trattandosi di alimenti alla base della dieta locale parliamo di tonnellate quotidiane di prodotti vegetali. Un discorso simile vale per l’allevamento: oltre agli onnipresenti polli le città africane ospitano quantità impressionanti di animali utili per la produzione di latte o carne. Ovini soprattutto, come nelle viuzze secondarie di Nouakchott in cui le auto sono costrette a schivare piccoli gruppi di capre lasciate libere o legate alle inferriate delle finestre, o come a Gondar (vedi foto di copertina), in Etiopia, dove intere greggi occupano spesso le strade principali intorno alla piazza centrale. Scene che fanno parte del quotidiano e che non di rado vedono protagonisti anche grossi bovini o addirittura suini, come nello slum di Kroo Bay, una grande area paludosa densamente popolata a pochi metri dal centro di Freetown in cui enormi maiali pascolano liberi fra i rifiuti.

Il cemento da scansare

I principali luoghi di produzione agricola sono ovviamente nelle prime periferie e nelle aree periurbane, dove gli spazi ancora liberi permettono coltivazioni più estensive, ma la vertiginosa crescita delle città divora terreni fertili a ritmi spaventosi, allontanando sempre di più orti e campi dai centri urbani. Succede quindi che anche nelle aree più densamente popolate come i quartieri informali in cui non esiste lo spazio fisico per coltivare non sia raro trovare forme alternative e interessantissime di agricoltura urbana, con soluzioni creative per massimizzare lo sfruttamento di interstizi liberi o valorizzando oggetti di recupero come recipienti e vasi. Un’organizzazione di Durban, la “Green camp gallery”, raccoglie e riproduce da anni queste pratiche estremamente creative per ottimizzarle, diffonderle e raccontarne anche il semplice ma profondo valore estetico. Pratiche, idee e soluzioni che interessano l’intero continente e che affondano le loro radici nel tempo, nonostante la passata avversione da parte delle autorità locali: fino a pochi anni fa infatti l’agricoltura era considerata “inadatta” alle città in un’ottica ancora coloniale di separazione rigida delle attività; oggi invece le normative più recenti permettono o addirittura promuovono la coltivazione in determinate aree. L’agricoltura urbana nel continente africano non è quindi né una novità né tanto meno una tendenza ma una pratica collettiva ben radicata in grado di muovere risorse consistenti e di caratterizzare fortemente i sistemi socioeconomici e paesaggistici delle città.

(Federico Monica, autore dell’articolo, sarà relatore del seminario, organizzato dalla rivista Africa, “L’Africa delle città”. Per info e prenotazioni, clicca qui)

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