Mercoledì l’Alfa Romeo ha presentato, in una fastosa convention, il suo nuovo modello: la Giulia. La vettura, che dovrebbe essere il primo tassello del rilancio dello storico marchio del Biscione, richiama nel nome un vecchio modello della Casa automobilistica che, negli anni Sessanta e Settanta, ebbe un grandissimo successo in Italia e all’estero. Un successo che, forse sono in pochi a ricordarlo, coinvolse anche l’Africa.
Negli anni Cinquanta, l’Alfa Romeo, che allora era di proprietà dell’Iri, la holding industriale statale, aveva identificato proprio nell’Africa un mercato con grandissime potenzialità per le sue vetture. Nel 1958 iniziò così a commercializzare in Sudafrica la Giulietta, che allora era la vettura di punta del Biscione. Per la commercializzazione, l’Alfa Romeo, che allora aveva ancora il suo stabilimento principale al Portello, a Milano, si affidò a una rete di distributori locali, che però venivano controllati in modo molto puntuale dalla casa madre.
La Giulietta ebbe subito un grande successo, complice forse anche la comunità italiana in Sudafrica che allora contava più di 40mila membri. Vista la positiva accoglienza, fu deciso di assemblarle in loco appoggiandosi alla società «Car Distribution Assembly» (Cda) di East London che già curava l’assemblaggio delle vetture Mercedes (allora nessuna casa automobilistica europea aveva propri impianti in loco). Piano piano la supervisione dell’Alfa crebbe, fino ad arrivare ad una gestione completa delle diverse fasi (ad esclusione dell’assemblaggio) che portò quattro anni dopo, alla nascita dell’Alfa Romeo Sudafrica (Arsa).
Intanto però la Giulietta era uscita dalla produzione ed era stata sostituita proprio dalla Giulia che, in Italia, stava conoscendo un autentico boom di vendite. Nel 1964, la Giulia sbarcò anche in Sudafrica dove ottenne subito un grande successo. Tanto è vero che nel 1967 le linee della Cda toccarono la saturazione e i dirigenti della Casa del Biscione per l’assemblaggio dovettero rivolgersi alla «Rosslyn Motor Assembly», che già si occupava delle vetture Renault, Datsun e Nissan.
Le Alfa Romeo erano apprezzate non solo in Sudafrica, ma anche nei Paesi vicini L’allora Rhodesia (oggi Zimbabwe), lo Zambia, la Namibia (allora sotto il controllo sudafricano), il Mozambico e l’Angola (ancora colonie portoghesi). Così la direzione dell’Alfa decise di impiantare una propria fabbrica in Sud Africa. La costruzione dello stabilimento venne avviata nel 1971 nella zona industriale di Britts. L’impianto fu completato nel 1973. Nel frattempo il Biscione aveva avviato in patria nuovi modelli e così anche da Britts, oltre alle Giulia, iniziarono a uscire Alfetta e poi Alfasud, Alfetta coupé, Alfasud Sprint, Nuova Giulietta e Alfa 33. Nel 1978, in seguito ad un accordo con la Fiat che aveva chiuso il suo stabilimento sudafricano, vennero assemblate a Britts le fineserie delle Fiat 128 e 132 e il pickup 128. Nel 1983 fu firmato un accordo con la Daihatsu per l’assemblaggio della vettura Charade.
Nel 1984, il Sudafrica fu investito da una forte crisi economica che causò un forte calo delle vendite di vetture. La produzione in loco non era più conveniente per l’Alfa Romeo che lo stesso anno decise di chiudere lo stabilimento di Britts.
Tutt’oggi chi va in Sudafrica o in Zimbabwe può vedere qualche vecchia Giulia sfrecciare per le strade delle città. Il rombo è inconfondibile, l’assetto piegato verso il retrotreno anche. Sono le ultime testimoni di un’impresa industriale italiana in Sudafrica.