Le multinazionali dell’agri-business sono le prime a cui si pensa quando si tratta di accaparramento delle terre. Colossi aziendali come la Herakles Farms, la Socfin, la Olam, sono alcuni degli investitori presenti in Africa in filiere per esse redditizie quali l’olio di palma, il caucciù, il caffè, il cacao, e sono soggetti già noti per il ricorso a pratiche poco etiche. Ma questi operatori non potrebbero agire se non avessero dalla loro parte partner finanziari o politici mossi da logiche di profitto.
Nel III rapporto “I padroni della Terra” della Focsiv, a cui abbiamo già dedicato un primo focus lunedì scorso, si evidenzia come la Banca Mondiale (Bm), per promuovere investimenti e muovere flussi di denaro, tenda a influenzare riforme nel settore agricolo a favore della grande industria ma a discapito delle piccole comunità locali.
Le Banche
«L’Oakland Institute, think tank californiano, ha denunciato il progetto della Bm Enabling Business in Agriculture. Finalizzato ad orientare le riforme nel settore agricolo, il progetto esamina le “barriere legali” che limitano gli investimenti privati, e promuove riforme politiche per rimuovere queste barriere. La Bm valuta gli Stati in base al grado di attuazione di queste raccomandazioni e i punteggi aiutano poi a determinare il volume degli aiuti e degli investimenti esteri che i Paesi ricevono. (…) Sotto la guida della Bm, i governi dovrebbero, ad esempio, allentare le normative sulle sementi e sui prodotti fitosanitari (fertilizzanti e pesticidi). Nel 2017 la Banca ha introdotto l’indicatore “terra”, assegnando un punteggio in base alla facilità di accesso alla terra per le imprese agroalimentari (…). Secondo l’Oakland Institute ciò rappresenta una forte spinta alla privatizzazione dei terreni poiché si rende la terra un bene commerciabile che deve essere venduto al miglior offerente: così la Bm incoraggerà inevitabilmente una maggiore concentrazione di terra nelle mani di pochi, insieme all’espropriazione dei poveri rurali che fanno affidamento sulla terra per la loro sicurezza alimentare e per il loro sostentamento. La terra passerà dall’essere una fonte essenziale per la vita, base di un’agricoltura resiliente e di un equilibrio ecologico, ad essere un bene finanziario sempre più oggetto di speculazione».
Ci sono anche coinvolgimenti più diretti da parte di istituti finanziari in attività collegate al land grabbing e ai suoi impatti negativi. Quattro importanti banche europee di sviluppo – DEG tedesca, BIO belga, FMO olandese e CDC Group inglese – hanno investito milioni di euro nelle attività della Feronia Inc., una società congolese quotata alla Borsa canadese. La Feronia Inc. e la sua controllata Plantations et Huileries du Congo sono la più grande azienda agricola della RDC e lavorano in tre piantagioni di palma da olio su oltre 100.000 ettari nel nord del paese. Secondo Human Rights Watch (Hrw), la società non rispetta i diritti dei lavoratori e delle comunità nelle piantagioni, poiché più di 200 lavoratori sono esposti quotidianamente a pesticidi considerati pericolosi e cancerogeni dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e molti di loro lavorano per meno di 1,50 dollari al giorno.
Le leggi
Nel ‘giro del mondo’ 2019 del land grabbing presente nel rapporto 2020 della Focsiv, spicca il nuovo codice forestale della Costa d’Avorio, adottato dall’Assemblea nazionale ormai circa un anno fa. Se sulla carta, l’intento della legge è quello di proteggere le foreste ancora intatte, il testo prevede la conversione dei boschi già degradati in aree agroforestali «sotto il controllo di alcune aziende internazionali, tra cui la Olam Cocoa e la Siat. L’attuazione della legge, inoltre, comporterà la perdita dei diritti di proprietà per le comunità indigene e creerà un monopolio per le aziende straniere in quella che è la più grande nazione produttrice di cacao». Si tratta in realtà di ben due milioni di ettari di foreste protette già fortemente degradate, con livelli di deforestazione pari o superiori al 75%. Si stima che il 40% delle piantagioni di cacao crescono su insediamenti illegali in parchi nazionali o nelle 230 foreste che dovrebbero essere, in teoria, sotto la protezione del governo.
Conflitti e gruppi armati: il caso Boko Haram
“I padroni della Terra” amplia la visione del concetto d’accaparramento della terra, che non deriva solo da logiche produttive, ma è anche, in alcuni casi, conseguenza dei conflitti armati. I conflitti causano migrazioni, che generano a loro volta altre tensioni tra i migranti e le popolazioni locali che li ospitano, «in particolare per l’accesso alla terra. Agli occhi dei locali, i migranti sono “accaparratori” di terra», si legge in uno dei capitoli della seconda parte del rapporto.
Se non è il caso di equiparare la pressione dei migranti sulla terra al land grabbing delle grandi multinazionali e stati sovrani, è opportuno capire che le tensioni tra migranti e locali hanno delle cause che, ancora una volta, hanno origine in soprusi operati da chi è più forte e ha più potere.
L’esempio analizzato in questo capitolo è quello del Nord Camerun e del gruppo radicale Boko Haram, nato nel 2000 nel nord della Nigeria. «L’occupazione di Boko Haram si è diffusa in tutta l’area del bacino del lago Ciad, e quindi anche nella regione dell’Estremo Nord Camerun, causando lo spostamento involontario sia dei nigeriani che quello dei camerunesi che vivono alla frontiera. Questi spostamenti, conseguenza dell’insicurezza e anche degli effetti negativi del cambiamento climatico in tutta l’area, esercitano una forte pressione sulla terra e le sue risorse, già fonte di altre tensioni fra migranti e locali». Lo studio ripercorre il processo d’infiltrazione della milizia nel territorio confinante e spiega che Boko Haram, approfittando delle rivalità etniche, è riuscito a fare alleanze con i criminali del territorio e ad ottenere il controllo del territorio e delle risorse che ne derivavano. «Soprattutto ai bordi del lago Ciad dove il prosciugamento dell’acqua ha liberato terreni fertili. La stragrande maggioranza delle reclute camerunesi si è unita alla setta per motivi socio-economici». Indirettamente, il flusso di migrazioni forzate nei villaggi al confine con la Nigeria ha aumentato la pressione per l’accesso alla terra in molte comunità.
È molto importante – suggeriscono gli autori – rinforzare la gestione fondiaria in questa regione, dove le tensioni si sviluppano a scapito dei valori di condivisione e di solidarietà. «I conflitti si accentuano fra popolazioni rurali, rifugiati e IDP, tra agricoltori e allevatori, minacciando la coesione sociale e gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Risulta prioritario uno sforzo da parte della comunità internazionale per sedare questi conflitti all’origine: la lotta al terrorismo è indispensabile per la sicurezza delle popolazioni, così come la lotta alla povertà e la giustizia nella gestione delle terre e delle risorse naturali.»
(Céline Camoin)