Si è da poco conclusa la diciottesima Conferenza ministeriale africana sull’ambiente a Dakar svoltasi con l’obiettivo di stilare una cosiddetta “agenda Africa” da presentare alla prossima Cop27. Applicare gli standard occidentali per la transizione, con fonti di energia rinnovabili, potrebbe rallentare l’espansione economica di molti paesi dell’Africa Subsahariana
“Chi ha inquinato di più deve mettersi le mani in tasca. Alla prossima Cop27 speriamo che sia fatta giustizia per l’Africa”. Così Abdou Karim Sall, ministro dell’ambiente del Senegal, ha aperto la diciottesima Conferenza ministeriale africana sull’ambiente a Dakar. Conferenza che si è occupata di erosione costiera, inondazioni, siccità, conseguenze in termini di insicurezza alimentare a causa dei cambiamenti climatici, preparando “l’agenda Africa” da presentare a novembre durante la prossima Cop27 in Egitto. A Dakar, in Senegal, era presente anche l’inviato speciale americano per il clima, John Kerry che nel suo intervento ha ricordato che i paesi africani producono poco gas serra, ma stanno pagando a caro prezzo gli impatti della crisi climatica.
“Venti paesi rappresentano l’80% delle emissioni e i 48 paesi dell’Africa subsahariana rappresentano lo 0,55% di queste emissioni. Per questo i paesi più sviluppati devono fare di più”. Per il ministro dell’ambiente senegalese, questo deve indurre i paesi più sviluppati a mettersi le mani in tasca. Per questa ragione i rappresentati dei paesi meno sviluppati hanno chiesto, a Dakar, la costituzione di un fondo per la presa in carico di perdite e danni, e che il risarcimento dei danni causati dal riscaldamento globale nei paesi poveri sia una priorità nell’agenda della prossima Cop27.
Dal canto suo l’inviato speciale Usa, Kerry, ha ricordato che nel 2021 gli Stati Uniti hanno concesso all’Africa 8,2 miliardi di dollari per aiuti umanitari e la lotta agli effetti del cambiamento climatico. Man mano che gli impatti dei cambiamenti climatici vengono messi a fuoco, le grandi economie hanno il difficile compito di cercare di persuadere le nazioni africane a ridurre le emissioni o ridurre gi investimenti nei combustibili fossili in un momento critico del proprio sviluppo economico: questa è la vera missione di Kerry in Senegal, paese che diventerà un produttore di petrolio e gas quando i giacimenti appena sfruttati al largo della costa atlantica inizieranno a produrre al loro massimo, nei prossimi anni. Il presidente senegalese, Macky Sall, ha detto che la fine dei finanziamenti per l’esplorazione del gas sarebbe un “colpo fatale” per le economie emergenti.
C’è, dunque, una questione che assilla i paesi africani: lo sviluppo è impossibile senza energia. Applicare gli standard occidentali per la transizione, con fonti di energia rinnovabili, potrebbe rallentare l’espansione economica di molti paesi dell’Africa Subsahariana.
Poi vi è una questione di finanziamenti. Già i risultati della Cop26 a Glasgow per i paesi africani sono stati deludenti, per lo meno hanno nascosto luci e ombre. Le aspettative, inoltre, erano elevate e si riproporranno alla Cop27 in Egitto. La delegazione africana a Glasgow, guidata dal gabonese Tanguy Gahouma-Bekalé, si aspettava che i 100 miliardi di dollari promessi ogni anno – impegni che risalgono a oltre dieci anni fa – fossero definitivamente sbloccati. Ma a volte tutto ciò si traduce in illusioni che rimangono tali. Ma, c’è un problema ancora più stringente. Gaouma-Bekalé lo ha evidenziato bene: “L’Africa non sta affrontando gli stessi problemi del resto del mondo. Dobbiamo anche garantire la lotta alla povertà, il lavoro dei giovani e l’energia per tutti”.
Metà del continente non ha accesso all’elettricità. “Questo aiuto (100 miliardi, nda) è quindi molto importante – ha spiegato il capo delegazione gabonese – perché si possa concepire uno sviluppo economico compatibile con il cambiamento climatico”, ma subito avverte: “L’Africa non accetterà di limitare il proprio sviluppo economico per sostenere la lotta al cambiamento climatico”.
E come dargli torto. E questa questione si riproporrà alla Cop27, ma con sullo sfondo una questione di non poco conto: la guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica che ha accresciuto la fame di energia di tutto l’occidente e dell’est del mondo sviluppato. I leader dei paesi ricchi si sono trasformati, a torto o a ragione, in questuanti del gas. Si sono moltiplicati i viaggi nei paesi africani produttori di petrolio e gas, diventati fondamentali per la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico.
Ciò che chiede Kerry – la riduzione degli investimenti nei combustibili fossili dei paesi africani – ha certamente senso per gli Stati Uniti. Occorre, invece, capire se l’Unione europea si allineerà con la posizione americana. Per ora i paesi europei stanno percorrendo un’altra strada, stringere rapporti ancora più stretti con i produttori di gas africani affinché aumentino le forniture.
I problemi sul tavolo sono anche altri e sono enormi. Le inondazioni hanno ucciso centinaia di persone in questa stagione delle piogge in Nigeria, Niger e Ciad, e milioni di persone nel Corno d’Africa sono a rischio fame a causa di una grave siccità. Si calcola che 22 milioni di persone potrebbero soffrire la fame in questa regione e oltre 250mila morirne, secondo i dati delle Nazioni Unite. I tanti appelli lanciati dalle Ong umanitarie e dell’Onu per un intervento deciso in termini di aiuti sono rimasti inascoltati. Come dare torto al ministro dell’ambiente del Senegal che chiede “giustizia per l’Africa”
Angelo Ferrari – Agi