L’artista congolese Moke-Fils tra arte, critica e contro-narrazione

di claudia

di Valentina GeraciCentro studi AMIStaDeS

Moke-Fils, 54 anni, è un artista congolese di fama internazionale. Figlio d’arte, ci racconta in questa intervista la sua arte, lo sguardo che rivolge al mondo e la sua visione critica sul continente africano. Le sue opere, spesso di denuncia, costituiscono un’importante testimonianza da conoscere.

Jean-Marie Odia Monsengwo, o Moke-Fils, è nato nel 1968 a Kinshasa, in Repubblica Democratica del Congo. La sua carriera prende forma a partire dal 1986 sulla scia dell’esperienza del padre, il famoso artista congolese Moké (1950-2001). Ho incontrato Moké Fils al Dipartimento COSPECS di Messina in occasione di Trame Migranti, un ciclo di incontri avviato nell’anno accademico 2020-2021 presso il Dipartimento di Scienze Cognitive Psicologiche Pedagogiche e Studi Culturali dell’Università di Messina e promosso dal Comitato scientifico composto da Tiziana Tarsia, Andrea Nucita, Paolo Campione e Dario Tomasello. Il racconto e la presentazione dei suoi lavori hanno attirato la mia attenzione. Ho sentito fin da subito il bisogno di raccontare la sua storia e approfondire insieme la sua preziosa esperienza. Dopo il suo intervento mi son fermata in una chiacchierata per approfondire le sue opere e la sua formazione e per discutere dei messaggi che si impegna a condividere tra Francia, Italia e RDC.

Chi è Moké Fils?

Mi hai fatto la domanda “Chi sono io?”, “Chi è Moké Fils?” Beh, Moké Fils è un artista nato nel 1968. È il figlio maggiore di un grande pittore congolese, un grande pittore africano morto nel 2001.  Da lui ho adottato il nome e nel suo laboratorio artistico mi sono formato. Nessuna scuola di pittura o corso di formazione. Ho fatto delle mie passioni il mio lavoro e non ho lasciato nulla al caso. È davvero qualcosa di innato che si è mosso inizialmente tra le scene di vita quotidiana a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Sono come un camaleonte. Sono come lo specchio delle società in cui vivo o soggiorno. Cerco di rappresentare il mio ambiente o la mia società da uno o dall’altro punto di vista.

Posso definirmi quasi un “reporter” o un “giornalista”. Con i miei lavori e la mia firma –che si basa principalmente su caricature e brevi testi, frasi o singole parole – sento di avere una missione, quella di comunicare e informare chi si ferma a guardare i miei quadri. Le mie opere sono una testimonianza. Si muovono dalla quotidianità per raccontare la storia, la politica, l’economia e le tradizioni dei protagonisti.

E da questa quotidianità che prendi ispirazione?

Sì, nei miei quadri mi ispiro alla vita di ogni giorno e racconto della vita socio-culturale delle aree che rappresento. Con queste opere cerco di presentare anche me stesso e il mio percorso di crescita e di riflessione tanto artistica quanto personale. Quello che voglio dire è che anche io devo essere nei quadri. Comprendere a pieno una mia opera vuol dire barcamenarsi tra le mie riflessioni, i miei pensieri e quelle emozioni che quell’attimo lì che rappresento mi ha regalato. E c’è molto di più. Quell’attimo lì è frutto di riflessioni, conoscenze, studi e bisogno di raccontare. Molte mie opere riprendono tratti della vita a Kinshasa, trasformando il suo caos quotidiano e il via vai tra le strade della città in colori e scene fisse su tela.

Sono questi momenti le fonti dei miei quadri, le mie ispirazioni. Credo che ogni minuto puoi prendere ispirazioni da quel che ti circonda. A me piace soffermarmi a pensare alle attività che impegnano le persone tra una caffè e uno shop, tra un posto e un altro. In quei momenti lì c’è tanto da estrapolare, ci sono racconti nascosti, testimonianze, emozioni e sorrisi.

Anche qui in Italia e, in particolare oggi tra Milazzo e Messina, è così. Mi ispiro alla vita quotidiana delle persone che incontro, mi ispiro a quel che mi mostrano e ai momenti che mi colpiscono. Mi ispiro alla vita di tutti i giorni. Mi ispiro anche all’attualità e a tutto ciò che accade in televisione. Dalla guerra in Ucraina ai problemi che affliggono e interessano il nostro mondo. Mi ispiro anche ai dialoghi, alle conversazioni, alle storie che sento per strada. Mi ispiro alle persone che parlano, che raccontano e si raccontano. Voglio portare avanti una visione anche critica del complesso mondo che viviamo, tra il continente africano e l’Occidente in particolare, tra tradizioni e globalizzazione. È anche la mia mente a fare il suo gioco. Tutto si muove così. Tra occhi, orecchie, riflessioni, conoscenze e la carica del sogno.

Nelle tue opere, a chi ti rivolgi?

Nelle mie opere mi rivolgo a tutti. Con l’arte racconto la quotidianità e comunico. Le mie opere sono frutto di riflessioni personali, di studi e conoscenze dell’attualità e delle realtà che ci circondano. Chiunque guarda i miei quadri, in quella che possiamo definire arte popolare, con un occhio attento scaverà e troverà un messaggio.  Quindi sì, mi rivolgo a tutti. Con i miei lavori, con i tratti quotidiani che rappresento da un lato o dall’altro, in Repubblica Democratica del Congo come in Italia o in Francia, tra l’Africa e l’Europa, chi si ferma di fronte a un mio quadro può trovare una risposta alla domanda: “Cosa succede lì?”. Passo dalla megalopoli Kinshasa a raccontare la quotidianità di piccoli villaggi, a scene che raccontano la società e la politica del mio Paese d’origine. Mi rivolgo quindi alla popolazione. Ai protagonisti dei miei quadri.

Adesso in Italia mi ispiro a quel che sto vivendo tra Messina e provincia. Mi muovo tra le strade e mi fermo a osservare quel che si crea attorno a me. Alle volte di giorno, altre volte la sera. Tra alberi e fiumi e tra il mare e le sue spiagge. Racconto dei turisti e del loro viaggio, fotografo tassisti, negozi, ristoranti, piccole botteghe e ci costruisco intorno un’opera per tutti. Un’opera che racconta e che risponde alla voglia di conoscere, di approfondire realtà vicine e spazi più lontani.

Tra i prossimi lavori ne farò uno sull’Italia. Sto davvero facendo delle ricerche sulla realtà sociale del Paese, interessandomi tanto alla vita quotidiana quanto a quella economico – politica.

A sinistra, l’artista congolese. In mezzo, una delle sue opere: “La metamorfosi”

E il quadro La Metamorfosi? Questo è una descrizione socio-politica del tuo Paese, giusto? Ce lo vuoi descrivere?

A proposito del quadro La Metamorfosi inizierei col dire che la metamorfosi è trasformazione. D’impatto vedi un bruco, in alto una donna farfalla e nel mezzo un primo piano di una donna in blu con ali molto colorate e una borsa. Una donna che ha delle necessità. Metamorfosi vuol dire trasformazione, dal bruco a farfalla richiamando a codici anche sociali. Potrei dividere l’analisi del quadro in più parti. C’è una parte politica, una religiosa e non solo. Nel mio lavoro ho voluto riprendere tratti di testi biblici ma anche modi di dire e tradizioni propri alla cultura popolare.

A livello politico, ho voluto presentare i politici africani, i politici del mio paese. Coloro che hanno reso la politica un business, un modo per fare soldi. Ho rappresentato un politico che, una volta al potere, è il garante della Costituzione. La stessa costituzione che lui viola. Lui che ruba i soldi dello Stato, i nostri soldi, il nostro posto nella società. E vola via. Se hai notato nel mio lavoro, l’uomo in alto a destra rappresenta il politico, ha due banconote come ali, le stesse che usa- dopo aver rubato i soldi pubblici- per viaggiare, comprare beni e case. È una denuncia. L’arte mi ha aiutato a mettere nero su bianco quello che vedo attorno a me. Anche quando si parla di realtà più complesse.

Hai partecipato a mostre in Francia e in Italia. E nel tuo Paese d’origine?

Ho esposto tante mie opere in molti grandi musei e in molte aste in Francia, dove oggi vivo e lavoro. Altre opere sono oggi parte di collezioni private. Ma non solo. Ho esposto molto in Belgio (già dal 2008-2010), a Taiwan e anche nel mio Paese ormai da parecchi anni. Nel 2018, in occasione di Congo Stars, le mie opere sono state esposte in Austria e, lo stesso anno con altre iniziative, anche in Francia, Belgio e a Cosenza (nella mostra Vivere sulla soglia). Nel 2015 sono stato in Francia e in Israele; nel 2014 ho partecipato a molte mostre francesi; nel 2013 a Lubumbashi e nella capitale Kinshasa. Se vogliamo fare un salto nel passato, nel 2006 -in occasione della Performance «Printing the City of Kinshasa» – sono stato ancora in RDC e ancora prima, nel 2005 e nel 2004, il mio Paese mi ha ospitato con Regard sur 15 ans de transition e Kin Moto le retour.

Ci sarebbe tanto altro da dirti ma basta cercare online e troverai una lista aggiornata delle mostre alle quali ho partecipato e parteciperà a breve. Da sabato 25 a mercoledì 29 giugno dalle 12 alle 18 le mie opere saranno esposte per l’asta di Stanley a Diegem, in Belgio.

Il mondo della cultura è stato fortemente frenato durante la pandemia. Tu artista, come hai risposto?

A un certo punto, durante il cammino di ognuno di noi, ci sono momenti in cui il problema arriva e devi sederti a tavolino. Devi discutere con lui, provare a capire e, soprattutto, devi rispondere. Per me, come artista, il periodo della pandemia non è stato affatto semplice. Come ti ho detto già più volte, prendo ispirazione dal movimento, da momenti di quotidianità, da realtà vissute. E quando il mondo si ferma, si chiude in casa e neanche tu puoi muoverti, cosa puoi fare? Devo dirti che è stata la pandemia stessa a farmi riflettere e su questa ho creato un quadro interessante.

Ho voluto ragionare sul rapporto tra l’Occidente e il continente africano, sulle logiche che ancora delineano le nostre relazioni e che dovremmo superare. Perché bisogna aspettare gli europei per trovare la soluzione a momenti difficili e complessi? Non va bene così. È necessario che anche in Africa i ricercatori africani possano lavorare e fare ricerche per salvare il mondo, per salvare la loro pelle e quella degli altri.  È questo quello che ho voluto raccontare.

Oggi l’arte è per te uno strumento per?

Per incoraggiare gli africani! È uno strumento utile per comunicare, per formare e informare. Con l’arte ti rapporti con gli altri in maniera diretta, veloce ma anche intima e riflessiva. Con l’arte puoi familiarizzare con contenuti anche complessi. L’arte è una porta per andare oltre. Per conoscere di più. Per confrontare punti di vista diversi. Per mettere su tela tratti quotidiani e, con le parole, raccontare cosa stiamo vivendo. È uno strumento importante per fare da ponte tra il continente africano e quello europeo, per far sì che noi africani stessi possiamo offrire strumenti, quadri, racconti dal nostro punto di vista e sentirci, finalmente, rappresentanti a giusto modo!

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