Diplomazia, propaganda, vendita di armi ma anche lo sblocco del grano sono gli strumenti per l’avvicinamento di mosca con i Paesi africani
di Angelo Ferrari – Agi
La Russia sta spingendo sull’acceleratore per ritrovare la sua influenza nel continente africano e lo fa con le armi che possiede, cioè la diplomazia, la propaganda e la vendita delle armi.
Anche il viaggio che sta compiendo in questi giorni il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ne è la plastica dimostrazione. Mosca non ci sta all’isolamento messo in atto dall’Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina e cerca di trovare una “sponda” proprio in Africa, il continente che è rimasto pressoché “neutrale” nella condanna della guerra russa in Ucraina. La metà dei paesi africani si è astenuto o non era presente durante il voto di condanna all’assemblea della Nazioni Unite.
Il tour di Lavrov si sta concentrando su quattro paesi: Egitto, Etiopia, Uganda e Repubblica del Congo.
Viaggio iniziato a Il Cairo, capitale dell’Egitto. Qui ha fatto leva sulla questione della sicurezza alimentare, tema che affronterà anche in Etiopia. Lavrov ha sostenuto che le sanzioni imposte dall’Occidente contro la Russia limitano il margine di manovra che Mosca ha in Africa e minacciano le filiere dell’agroalimentare. Allo stesso tempo ha sostenuto che gli accordi firmati con l’Ucraina la scorsa settimana e mediati dall’Onu, sono stati voluti dalla Russia proprio per far fronte alla crisi alimentare.
Il ministro degli Esteri russo, con la visita in Egitto, ha voluto anche allargare l’orizzonte e rafforzare le relazioni con il mondo arabo, facendo tappa nella sede della Lega Araba. Ma non ci sono state solo parole.
Verso vertice russo-africano
Lavrov ha annunciato che nella prima metà del 2023 ci sarà un vertice russo-africano per incrementare la cooperazione con il continente. In Congo Brazzaville, Lavrov e il presidente congolese Denis Sassou Nguesso – l’incontro che è durato più di due ore – si sono concentrati sul rafforzamento della cooperazione militare e tecnica. Occorre ricordare che la cooperazione risale al 1964 quando Brazzaville ruotava nell’orbita dell’Unione sovietica. Non si conosce esattamente l’agenda del ministro degli esteri russo di questo viaggio, sicuramente in Uganda si parlerà, ancora una volta, di armamenti e cooperazione militare.
La forza di Mosca in Africa, infatti, si gioca sul piano degli armamenti. Unico vero mercato in crescita per il Cremlino. Il database sui trasferimenti di armi dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma mostra che la Russia, tra il 2016 e il 2020, ha fornito il 30% delle importazioni di armi dei paesi dell’Africa subsahariana. La Cina il 20%, la Francia il 9,5% e gli Stati Uniti il 5,4%. Il continente è il primo mercato della Russia in termini di fornitura di hardware militare e civile. In Nord Africa, Egitto e Algeria sono i primi destinatari delle esportazioni di armi russe. Mosca, inoltre, sostiene l’industria bellica del Sudan, terzo produttore di armi nel continente. Lo scontro con l’occidente in Africa non è mai stato sotto traccia.
Armi e mercenari
La Russia a differenza dell’Unione europea, della Cina e della Turchia, non ha strumenti di soft power, in particolare quelli economici, ma se li deve conquistare con gli strumenti che possiede. I mercenari della Compagnia Wagner, oltre a essere combattenti per conto di Mosca, rappresentano la modalità con la quale si manifesta l’influenza del Cremlino negli stati in cui operano, dove ha interessi. Ma sono anche dei “facilitatori” delle relazioni e dei rapporti tra stati, ritagliandosi uno spazio nell’economia locale, in particolare in quelle aree dove abbondano le materie prime. Alcuni stati africani hanno bisogno della presenza russa per affermare la propria politica e in cambio offrono risorse naturali strategiche.
Il ruolo della propaganda
E qui, la propaganda gioca un ruolo fondamentale. L’utilizzo dei social network da parte di Mosca è stato abile e penetrante, in particolare in alcuni paesi del Sahel, uno su tutti il Mali. Mosca ha soffiato sul sentimento anti-francese a tal punto da riuscire a scalzare l’ex colonia dal paese e i golpisti di Bamako si sono messi nelle braccia di Mosca senza troppi risentimenti e tentennamenti, anche perché l’opinione pubblica maliana era dalla loro parte. L’influenza di Mosca – sembra un paradosso – sul continente africano è cresciuta proprio dopo l’invasione dell’Ucraina.
Non è marginale il fatto che Lavrov, nella sua visita nella Repubblica del Congo, abbia sottolineato la “posizione responsabile ed equilibrata del Congo Brazzaville” sul dossier Ucraina, e questo vale per tutti quei paesi che si sono astenuti sul voto di condanna all’Onu, con i quali, e non a caso, Mosca sta intensificando le sue relazioni.
Il potere del grano
E la guerra sta dando alla Russia uno strumento di soft power che prima non aveva o meglio, non veniva utilizzato come tale, ma era solo un fattore commerciale: il grano. Ora è diventato un’arma politico-diplomatica. Il blocco delle esportazioni di grano, secondo Mosca, mette in luce, ancora una volta, l’insensatezza delle sanzioni occidentali, ponendo l’accento, invece, sui recenti accordi per sbloccarne l’esportazione, quindi sulla capacità della Russia di far fronte alla crisi alimentare globale.
Che i paesi credano o meno alle parole di Lavrov, registrano un fatto: lo sblocco delle esportazioni. Nel 2020 gli stati africani hanno importato dalla Russia prodotti agricoli per 4 miliardi e dall’Ucraina 2,9 miliardi. La mancanza di materie prime alimentari ha provocato l’innalzamento dei prezzi alimentari, con grave danno per le economie del continente africano con conseguenze sull’inflazione che ha visto un’impennata senza precedenti, come in Ghana arrivando al 30%, mai così alta negli ultimi due decenni.
Insomma, la Russia prova a dire la sua anche in questo frangente congiunturale, sapendo benissimo che le conseguenze sociali per i paesi africani potrebbero essere gravissime.
La radice delle primavere arabe
Tutti ricordano le primavere arabe, nate proprio dall’innalzamento del prezzo del pane, così come le mobilitazioni, nel 2019, che hanno fatto cadere la dittatura trentennale di Omar el-Bashir in Sudan. E, infine, il paradigma di Putin fa leva sul fatto che la Russia non è mai stata paese colonizzatore. L’agenda per l’Africa l’ha definita lo stesso Putin sottolineando, nell’ultimo vertice Russia-Africa del 2019, come “positiva” che si contrappone ai “giochi geopolitici” degli altri, non interessata a depredarne le ricchezze, ma a lavorare a favore di una cooperazione “civilizzata”.