Le elezioni presidenziali del Kenya, tra alleanze e riforma costituzionale

di claudia
Uhuru Kenyatta

Manca meno di un anno alle elezioni presidenziali del Kenya. Nuove alleanze politiche hanno cominciato a prendere forma alla luce della “Building Bridges Initiative” (Bbi), progetto di revisione costituzionale che prevede di allargare l’esecutivo, voluto dal presidente Uhuru Kenyatta. Ma la decisione della Corte d’Appello di mettere fine alla Bbi ha rimescolato le carte e le alleanze nei prossimi mesi potrebbero cambiare ancora.

di Angelo Ravasi

Riforma costituzionale e alleanze politiche mutevoli avvolgono – a meno di un anno dalle elezioni presidenziali del Kenya, previste per il 9 agosto 2022 – nella massima incertezza il risultato dello scrutino. Innanzitutto, uno dei nodi di maggior tensione riguarda la riforma costituzionale voluta dal presidente Uhuru Kenyatta. La Corte d’Appello del Kenya, infatti, ha posto fine al “Building Bridges Initiative” (Bbi), un progetto di revisione costituzionale che era stato l’epicentro dei dibattiti politici dal 2018. I giudici hanno stabilito che il presidente Kenyatta, promotore della revisione, non ha il diritto costituzionale di avviare tale processo. Il testo prevede di modificare l’attuale sistema presidenziale creando, in particolare, nuove cariche nell’esecutivo: un primo ministro, due vicepremier, un leader dell’opposizione e aumentare il numero dei parlamentari passando dagli attuali 290 a 360. Secondo Kenyatta, questa distribuzione del potere diluirebbe di molto la regola del “chi vince prende tutto”, che considera essere la causa dei conflitti post-elettorali. Ma i suoi detrattori la vedono come una manovra del capo dello Stato – che non può candidarsi per un terzo mandato – per restare al potere ricoprendo la carica di primo ministro.

Alla luce della Bbi hanno cominciato a prendere forma alleanze e appoggi riguardanti le nuove cariche, ma la decisione della Corte d’Appello ha rimescolato le carte. Nonostante il ricorso alla Corte Suprema – avviato dal procuratore generale del Kenya – è impossibile una ridistribuzione elettorale e la creazione di posizioni esecutive prima del voto.

Occorre, tuttavia, considerare che la riforma costituzionale voluta da Kenyatta ha reso possibile una tregua tra il presidente e lo storico oppositore Raila Odinga dopo le violenze post-elettorali del 2017-2018. Per molti osservatori, la tregua si è trasformata in un patto di condivisione del potere per il 2022, con Odinga in corsa per la presidenza, sostenuto dal partito del presidente Kenyatta, che potrebbe diventare il suo primo ministro. Questa alleanza, però, va a scapito del vicepresidente William Ruto, che Kenyatta aveva inizialmente “investito” per le elezioni del 2022. Prima implicita, ora la rottura è chiara. In un’intervista, infatti, il capo dello Stato ha sfidato il suo vicepresidente a dimettersi “se non è contento”. Dal canto suo Odinga, pur non avendo ancora ufficializzato la sua candidatura, ha fatto sapere, prima della sentenza della Corte d’Appello, che non l’avrebbe impugnata in caso di decisione sfavorevole, perché si vuole “concentrare completamente sulle elezioni”.

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Il presidente Uhuru Kenyatta e lo storico oppositore Raila Odinga

Ma fermare il Building Bridges Initiative potrebbe indebolire la coalizione Kenyatta-Odinga. “La grande domanda sarà: l’alleanza che si sta costruendo attorno a Odinga sarà in grado di reggere in assenza della revisione costituzionale? Quali posizioni dovranno essere offerte alle persone affinché sacrifichino le loro ambizioni presidenziali e si allineino dietro Odinga?”, spiega Nic Cheeseman, professore all’Università di Birmingham. È evidente che molte formazioni politiche attendevano proprio il giudizio della Corte sulla Bbi prima di prendere una decisione.

Come era prevedibile William Ruto ha accolto con favore la decisione della Corte d’Appello che, a detta sua, avvantaggia i “mwananchi” – cittadino comune – di cui si è fatto araldo contro Kenyatta e Odinga, espressione delle “dinastie” politiche keniane.

Il fattore etnico

Il fattore etnico, inoltre, potrebbe avere un peso minore nelle elezioni del 2022 – secondo gli esperti – ciò che invece è stato determinante nelle precedenti tornate elettorali. Nel Paese sono presenti 44 tribù. L’analista politico keniano, Nerima Wako-Ojiwa, spiega che si potrebbe verificare “un cambiamento per quanto riguarda gli allineamenti politici sulle affiliazioni tribali. Rimarrà nelle discussioni, ma non sarà il fattore rilevante”. Secondo l’analista sono altri gli argomenti che stanno a cuore alla popolazione: “La maggior parte delle persone è preoccupata per l’economia e la salute”, sottolinea. “I giovani non si identificano necessariamente con la retorica tribale usata in passato”, aggiunge, ricordando che sei milioni di giovani in più sono in età di voto rispetto al 2017, e i politici dovranno essere in grado di attirare questi nuovi elettori e questo potrebbe diventare un fattore determinate l’esito del voto.

Di fronte all’alleanza dei due principali gruppi etnici del Paese i Kikuyu (Kenyatta) e i Luo (Odinga), Ruto si erge a difensore degli “intraprendenti”. Il professore Cheeseman spiega che “Ruto si sta mobilitando oltre i confini etnici. Usa il discorso sull’intraprendenza per unire le persone in modo più ampio. Sarà interessante vedere come funziona questo tentativo. Alcune comunità si considerano emarginate. Una campagna basata sull’emarginazione può attivare sia l’identità etnica che lo status economico”.

Le elezioni presidenziali in Kenya si sono sempre ridotte a scontri tra due grandi candidati, concentrando la stragrande maggioranza dei voti sui loro nomi. Nella situazione attuale, “è molto plausibile che si abbiano tre o quattro possibili candidati”, continua Cheeseman, “sarebbe improbabile che uno possa vincere al primo turno”. La vittoria di uno dei canditati si potrebbe giocare al ballottaggio e sarebbe la prima volta nella storia del Kenya. Se si arriverà alle elezioni con la situazione attuale, cioè con diversi candidati – questo è “sano” perché genera dibattito – secondo il politologo keniano Wako-Ojiwa non è certo un secondo turno: “Più ci avviciniamo alle elezioni, più la divisione (in due campi) diventa chiara”.

I giochi, dunque, non sono ancora fatti e nei prossimi mesi le alleanze potrebbero mutare ancora, ma i keniani hanno bisogno di risposte concrete, non di giochetti politici.

(Angelo Ravasi)

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